Paola Nepi Stampa E-mail

Paola NepiLo strappo
autobiografia 1942-2016

Paola Nepi
nata a Montevarchi (Arezzo) nel 1942

Il fatidico strappo che mi mutò da una creatura come tante nell'additata fu quello dei nove anni quando gli occhi di mia madre, in un'afosa giornata d'estate, si posarono per caso sulla mia schiena e rivelarono al suo sguardo l'asimmetria delle mie spalle. D'un colpo si spalancò l'abisso per tutta la famiglia. A strappare la vita di Paola, a stravolgerla per sempre, è la scoperta di una malattia che si manifesta quando ha 9 anni, e che in futuro scoprirà essere la distrofia muscolare. Chi sentì meno di tutti la ferita fui proprio io. Mia madre mi recitava ogni volta tutta la cronistoria delle sue tribolazioni finché io tra dolore e paura sbottavo. Mio padre invece non se la pigliava mai con me,il prologo era una sfilza di improperi contro l'universo mondo, chiudendo poi il tutto con la frase: "Non te la pigliare Paolina, per te ci sarò sempre io!". "Grazie babbo, ma sai che consolazione, io che sogno già di volare!". Le estenuanti visite specialistiche, le prime diagnosi errate (leggera scoliosi scolastica) e l'uso di dispositivi di correzione invasivi come il busto e il letto di posizione, sgretolano la spensieratezza della piccola Paola. Che subisce le violenze verbali delle coetanee. Le parole che mi ferirono come una coltellata le pronunciò l'Orietta: "Tanto tu diventerai gobba e non troverai marito, bene, bene!". Anche il gioco della campana diventa motivo di scherno. Tutti intorno erano chini ed a bocca aperta dalle risa imitavano la mia posizione. Ero davvero buffa: gambe impalate, culo in su, tutto il busto diritto e duro fino a terra, l'armatura che mi ingabbiava non mi permetteva altro; non ero e non sarei più stata un giunco mormorante ma solo un burattino legnoso che suscitava risate. Alle scuole medie scopre di non riuscire ad articolare i movimenti di un braccio, mentre alle superiori sono le gambe a dare segni di cedimento. La distrofia, ormai manifesta, le viene infine diagnosticata e la costringe ad abbandonare gli studi. Sconforto. Ma Paola non perde la voglia di vivere. Per se stessa, per chi le vuole bene, a partire dal padre. Anche per lui, per la sua gaiezza, per la sua dedizione ce l'avrei fatta, volevo farcela. Fu in quel momento che promisi a me stessa che mai mi sarei fatta invadere dal buio del male. L'amore, la tenerezza che portavo dentro, sì per tutto questo e molto altro ce l'avrei fatta. Impartisce ripetizioni a studenti delle scuole elementari e scopre che indossando scarpe con i tacchi riesce a muoversi ancora con facilità. A sedici anni o poco più avevo i miei allievi, le mie passioni, i libri, la musica, il cinema, il teatro, una mia idea di vita, di politica, per il sogno d'amore avrei potuto aspettare, avevo la vita davanti! Una breve rinascita, seguita da nuovi ricoveri e cure sperimentali, pellegrinaggi e presunte terapie miracolose fino il passaggio obbligato, a 30 anni, sulla sedia a rotelle. Per Paola è una resa con risvolti benefici, che la porta a una nuova consapevolezza, ad affermare il diritto alla libertà di scelte proprie fino alla fine. Si iscrive all'università a Firenze, viaggia molto, si innamora di un vecchio amico ritrovato e lo sposa. Intanto la malattia, che le ha portato via anche la madre, giunge a uno stadio estremo. A un passo dalla morte, accetta di vivere ancora grazie alla ventilazione artificiale. Per continuare a parlare col mio io profondo scrivo con un solo dito ed un mouse speciale e l'intesa fra il mio dito e l'unico tasto che riesco a pigiare ancora va, non so fino a quando ma non ci penso. Confesso però che ora sono stanca, sfinita, non depressa, non triste. Vorrei però andarmene serenamente, quasi in allegrezza non più esistere e, datevi pace, la vita nel bene e nel male riserva sempre qualcosa di nuovo, qualcosa di vecchio e qualcosa di blu.

 

  

Il programma della 33^ edizione:  

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