Stefano Procopio Stampa

Brani scelti

procopio2 24 gennaio 1978
io sono: egoista, menefreghista, superbo, prepotente, bugiardo, falso, ruffiano, testardo, chiuso al dialogo, offensivo, venale, avaro, impulsivo, incoerente, orgoglioso, meschino, gretto, avido, rompiballe, ladro, incomprensivo, presuntuoso, sleale, viscido, parassita, doppiogiochista, ipocrita, abulico, apatico, ebreo, pusillanime, narcisista, egocentrico, indeciso, sboccato, travisatore, grezzo, nullo, fallito, scontroso, prevaricatore, inconcludente, vendicativo, succube, intransigente, pignolo, sofista, irriconoscente, disobbediente, ambiguo, pericoloso, pregiudizievole, razzista, indelicato, geloso, violento, schizzinoso, immaturo, infedele, diffidente, torturatore, profittatore, pedante, arrampicatore, bastian contrario, perverso, morboso, sadico.

Riflessioni sul tema: Stefano e le donne, o meglio Stefano e la femministe. Lo spunto è venuto dalla considerazione sulle atroci sofferenze patite da Papillon, naturalmente visto nella figura di uomo. Con un senso di superiorità e di gioia masochista ho pensato come le donne non possono capire quanto sia forte e virile l'accettazione e il superamento di certe disgrazie. Ma Papillon è solo uno spunto per allargare il discorso a tutta la vasta schiera di uomini che subiscono continuamente le sfortune della vita. Non che voglia dire che l'uomo è superiore solo perché è più forte e più robusto, ma solo parte da questa considerazione che è una delle manifestazioni più appariscenti della differenza uomo-donna. Su questo argomento, proposto da un compito, avevo scritto “… c'è anche il movimento femminista, ha scelto un bel momento per creare un caos ulteriore. Forse non è ancora il momento di parlare della scomparsa della supremazia del maschio, senonaltro non è questo il momento per esautorare una categoria di persone, gli adulti maschi che si trova al centro di tutte queste polemiche e queste complicazioni …”
Ribadisco oggi, a distanza di quasi un anno, di essere perfettamente d'accordo su questo punto fondamentale, in quanto non è giusto che siano le donne ad avere il predominio, visto che è stato l'uomo a fare la storia, e non la donna. Non pretendo che la donna sia costretta a fare il lavoro massacrante tipico dell'uomo, ma non è leale che pretenda di salire alla guida del genere umano dopo migliaia di anni passati a fare la comparsa. A partire dalla prima comparsa dei nostri antenati, chi ha pensato bene di pugnare con brontosauri e compagnia bella, di costruire capanne e di inventare utensili, ruote e attrezzi vari, di scoprire il fuoco vincendo la fifa terribile con una dose maggiore di coraggio, è stato l'uomo. E le donne stavano a guardare, si potrebbe dire a ragione. Senonaltro l'uomo è stato più furbo e più opportunista, e ha saputo cogliere le occasioni migliori per farsi avanti, e non mi risulta che nessun umorista abbia mai illustrato un donna che, randello in una mano, con l'altra trascinava per i capelli un uomo. Perché allora rovesciare quel che ormai va avanti (e bene) da sempre?
E' giusto che le donne lottino per i loro diritti, se sono sfruttate, ma è necessario che non si facciano prendere dal panico e che mantengano il loro posto senza esaltarsi. Ogni tanto qualcuna pensa bene di formulare un concetto pieno di presentimenti, tipo – “Ma guarda che chi mette al mondo l'uomo è una donna!”. Brava, molto brava, bravissima … CRETINA!
Grazie al cielo, la nostra è ancora una società “fallocrate”, e se non hai a disposizione l'ometto, cara mia, niente bambino. E se qualche anima pia ha pensato di inventare un sistema per l'inseminazione artificiale, costui è ancora un uomo. Bisogna che le donne imparino ad essere autosufficienti, e allora sì potranno vantare qualche pretesa. Ma tenendo conto che, naturalmente al di fuori delle aree civilizzate, gentilmente approntate all'uomo, vige ancora bene o male la legge del più forte, non mi pare proprio che queste benedette donne possono concretamente sperare di sopravvivere senza l'aiuto del “Muscoloso, Virile e Forte Uomo”.procopio4 Lasciamo un gruppo di donne per un periodo di alcuni anni in mezzo ad un'isola deserta, selvaggia e infestata da bestie feroci e centinaia di pericoli: le ritroveremo bellamente morte, nella ricerca affannosa di un surrogato per il rimmel, magari.
Lasciamo nelle stesse condizioni un gruppo di uomini li ritroveremo decimati da liti e scontri fratricidi, ma quei pochi avranno approntato le basi per il fiorire di un'altra comodità, superando tutte le avversità.
Purtroppo per voi, o donne, bisogna fare i conti anche con la Natura, raramente amica, e prima di piegarla occorrono grandi sforzi, anzitutto di carattere fisico, che a voi, volenti o nolenti, non sono permessi. E' comodo cercare di abbatterci, dopo che per migliaia di anni abbiamo continuamente preparato le armi per la vostra rivolta. Se foste veramente superiori all'uomo, come molte di voi credono, riuscireste ad imporvi almeno tecnologicamente, ma mi pare che siate piuttosto scarsine alle prese con atomi, transistors, protoni, catodi, anodi, laser, telescopi e altri giocattolini del genere, no?
Pazienza, continueremo a tenervi sotto la nostra ala protettrice e in cambio potreste continuare a lavorare, stirare, cuocere e cucire, tanto per pagarvi i servigi che cucine a gas, lavastoviglie, lavatrici, aspirapolvere, lucidatrici, tostapane, ferri da stiro “amennicoli vari” continueremo a fornirvi a cura dell'Uomo & Uomo S.p.a.


29 gennaio 1978: cosa dire in questo giorno? Vinti ani! Oggi compio clamorosamente gli anni, venti appunto. Niente di particolare si sente, spero stasera di divertirmi a casa di Marco Triandino, con l'altro fratello gemello Gionco.


7 febbraio 1978
L'unica cosa che mi si può rimproverare è l'essere inconcludente, ma questo non è necessariamente un difetto, è solo una conseguenza di quel che io penso è stata la mia più grande fregatura da quando sono nato, cioè la cotta ardente a 4000 gradi Fahrenheit che ho preso - fortunatamente in giovane età - con l'Anna. Tutto quel che ne è derivato mi ha portato a questo ordine di idee, che non è né triste né rassegnato, di considerare le donne dal punto di vista affettivo, come mete o non mete; non giocattoli, però, semplicemente ma solo uomini con alcune differenze anatomiche che le trasformano in donne, animali alleati o nemici dell'uomo.


28 marzo 1978
Sembra proprio diventato un vizio, un'abitudine, questa di alternare momenti buoni a momenti neri. Indifferenti in questo periodo sembra non essercene.
Adesso, fortunatamente, è un momento relativamente su, solo che non riesco a capire cosa sia che li determina in un senso o nell'altro.
Mi piace, in momenti come questo, sedermi alla scrivania, qui nella mia camera, aprire la finestra, respirare quest'aria nuova che circola intorno e scrivere. Mi sto lentamente rendendo conto di quanto sia utile, prezioso e costruttivo questo colloquio che sto conducendo da più di mezzo anno – trascorso esattamente il 18 marzo -, perché dopo mi ritrovo scritto tutto quello che ho fatto, detto, pensato, e quindi mi accorgo delle evoluzioni, delle involuzioni, delle incoerenze, degli errori che la memoria da sola non può ricordare. Un errore non rilevato sulla carta si dimentica dopo poco tempo, mentre, appunto “verba volant, scripta manent”.
Di qui un elogio sincero al buon vecchio Erario. C'è come un'atmosfera nuova diversa, che mi spinge a cancellare tutti i dolori, i dispiaceri, le sofferenze, nel nome di questa vita che sempre risorge e che sempre illude, delude, affascina, distrugge, crea, incanta. E' in questi momenti che mi atteggio a saggio bonario, che mi rendo conto di come siamo banali di fronte all'enormità del creato, i nostri più grandi problemi dei problemi, che la grande ruota della vita macina come fossero granelli di sabbia, che li annienta in un circolo perenne di nascita e morte. Ma questa gioia per la vita, se così posso chiamarla, ha bisogno in certi momenti, di trovare un significato più grande, una realizzazione più grande. Non basta, lo sento rendersi conto che certe “volte la vita è pura gioia”, c'è la necessità da parte mia, di rendermi più partecipe di questa constatazione con un più diretto contatto con la Natura, proprio per aderire meglio al suo momento di gioia, di felicità, di soddisfazione. Ora come ora, appunto, vorrei trovarmi in cima a una montagna, sia per la celebrazione, per così dire, del gesto fisico in sé, sia per un avvicinamento alla grandezza maestosa ed affascinante di un aspetto della Natura che più degli altri mi colpisce. Non è più solo desiderio di valutare le mie capacità, il mio coraggio, la mia abilità, ma ben di più, è il desiderio fortissimo di sentirmi corruttibile, infimo, inesistente di fronte all'immutabilità e alla grandezza della montagna. E' inutile descrivere a parole questo stato d'animo, bisogna viverlo, sentirlo proprio, solo allora si riesce a dividerne l'intensità con gli altri appassionati.
Mi pare quasi di sentire il passo lento e regolare che si posa ritmicamente sul sentiero appena tracciato, il rumore secco che provoca, lo spegnersi immediato del rumore sulle pareti circostanti, creando un'atmosfera inesprimibile. Rubo le parole a Reinold Messner “… e quel che più conta: lassù la montagna aiuta l'uomo a ritrovare il suo equilibrio interiore, a riflettere, a conoscere meglio se stesso, le proprie possibilità e i propri limiti …”
procopio3 E poi, più avanti questa poesia “Andare/per queste altezze/fin che tempo e spazio/si confondono,/sentire/di essere stato lassù/all'alba del mondo/quando l'abisso e il cielo/erano ancora/una cosa sola…”
“La dimensione del silenzio: l'ampio vallone su in alto era colmo di silenzio, da qui parte nient'altro che silenzio. Pian piano esso calò anche dentro di noi, a mano a mano che ci addentravamo in quella solitudine senza fine. E più profondo si faceva il silenzio, più sentivo il bisogno di lanciare un grido, un richiamo, o di parlare ad alta voce con me stesso. Ad un tratto incominciai ad emettere suoni inarticolati, ancestrali, non tanto per rompere il silenzio, quanto per dare ad esso, alla sua immensità, una dimensione percettibile.”
E questo sulla disposizione interiore: “Mi sgomenta il moltissimo tempo libero che la gente è solita sprecare. E considero socialmente pericoloso chi non sa far nulla con vero entusiasmo. Vorrei essere capace di infondere a costoro l'amore per l'avventura, ma non so come fargli comprendere che non è lo sprezzo del pericolo ma la disposizione interiore, non il grado di difficoltà bensì il nostro rapporto personale con la montagna ciò che ci fa amare anche il faticoso ghiaione, l'aspro dirupo e il duro ghiacciaio, ciò che fa del riposo dopo la fatica una salutare vacanza.”
Ecco, è finito, e vorrei finire anch'io, perché tutte le stupende sensazioni che ho provato nel rivedere i ben noti paesaggi, le ben note vette, sul libro, non potrei mai descriverle neanche con un fiume di parole, ed è meglio neanche svilirle col tentativo di storpiarne le emozioni, con inutili, retorici e spenti giri di parole. L'unica è tornare a vivere l'incanto della montagna, a diretto contatto, lassù, in cima, con un nodo alla gola che ti fa piangere, ma ormai non sai neanche più piangere spontaneamente e senza vergogna, da quanto la società ti ha represso i sentimenti, o almeno le manifestazioni più vere e tangibili di essi.
“Addio monti sorgenti dalle acque, ed elevati al cielo; cime ineguali, note a chi è vissuto tra voi, e impresse nella sua mente, man mano che lo sia l'aspetto dei suoi più familiari; torrenti, dei quali distinguere lo scroscio, come il suono delle voci domestiche; ville sparse e biancheggianti sul pendio, come branchi di pecore pascenti, addio! Quanto è triste il passo di chi cresciuto tra voi, se ne allontana!”


7 aprile 1978
Il giorno volge ormai al termine, è quasi mezzanotte. Mi sento abbastanza libero, senonaltro ho risolto definitivamente la risoluzione di un problema che mi aveva assillato per molto tempo. Riguarda il regalo da fare alla Chiara. Oggi siamo andati in gita, a Ferrara e, non so come spiegarlo, sembra quasi sottinteso che dovessimo aspettarci l'un l'altro, farci compagnia tutto il giorno, parlare, ridere, scherzare, andare di qua, andare di là. Non c'è più bisogno, vorrei dire quasi con certezza, di chiedere sempre “Cosa fai” “Dove vai” “Posso venire con te”, eccetera. Si dice “andiamo qui, andiamo lì” ci si volta, nel gruppo, a vedere se l'altro c'è, ci si vede sempre vicini, e appunto, con naturalezza, senza paura di seccare, di annoiare, parlando se si ha voglia di parlare, tacendo se si vuol tacere.
procopio1 Ma non mi basta, purtroppo, - anzi, per fortuna, perché deve essere bellissimo -, voglio poterla prendere tra le braccia e dirle “ti amo”.
Si ecco, l'ho detto; finalmente c'è stato chi c'è riuscita, e lei unica e sola, a farmi arrivare a questa speranza, a questa fede nell'amore.
Lei sola è riuscita a farmelo provare, questo sentimento bellissimo, proprio a me che andavo ripetendo che l'amore non esiste. Semplice, prima non esisteva nessuna che fosse riuscita a farlo esistere.
Ti amo Chiara, nella maniera più vera e più sincera possibile, il pensiero di te mi dà ancora forza nei momenti di dolore, di debolezza, di sconforto, la tua voce riesce a coprire l'urlo di migliaia di persone attorno, la tua mano mi provoca un tuffo al cuore, la tua vista mi incanta, mi affascina.
Ti amo Chiara.
Per questo sono riuscito a decidere di regalarle quella catenina con il cuore; se prima temevo che potesse rifiutarla, per il significato unico e profondo che ha, adesso ho deciso che sono pronto a farle il regalo senza ripensamenti, perché per lei darei anche il mio cuore. Spero che, rileggendo queste righe, mi appaiono pompose, roboanti, retoriche, grandiose, perché solo così potranno descrivere abbastanza bene quello che ho in cuore.


9 aprile 1978
Sto aspettando terribilmente teso il 13/4/78. Più di così ….


Stefano Procopio
"Erari, a tu per tu con me stesso"
diario 1977-1983

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