Di me, attraverso gli altri |
Intervista a Donata Pizzi, fotografa, autrice di un fotodiario in mostra a Pieve il 13-14-15 settembre Un avvenimento che innesca una trasformazione, che induce a un viaggio che diventano viaggi, che favoriscono incontri che lasciano tracce, che ispirano fotografie che scatenano riflessioni, che si trasformano in un diario che conduce a Pieve Santo Stefano. Proprio così: con questo ritmo, con questa cadenza, senza pause. Donata Pizzi, fotografa di fama internazionale, ha tutta l’aria di chi arriva all’Archivio dei Diari senza sapere ancora bene il perché. Ma con l’intima e intangibile consapevolezza di essere lì per chiudere il cerchio. Proprio come quei diaristi che vivono la consegna delle proprie scritture autobiografiche, e la condivisione pubblica delle vicende di vita vissuta, come l’ultima e imprescindibile tappa di un percorso personale. Un percorso iniziato nell’aprile del 2008 e che si concluderà con la mostra “Di me, attraverso gli altri” che accompagnerà la 29esima edizione del Premio Pieve Saverio Tutino, dal 13 al 15 settembre a Pieve Santo Stefano. Un evento consequenziale, non premeditato quando nella primavera di cinque anni fa Donata giungeva a Minsk, incontrava Achille Bonito Oliva ed era “vittima” di quello che lei stessa oggi definisce un “incidente artistico”, occorsole mentre il suo interlocutore la provocava sostenendo che doveva ritenersi una persona fortunata, proprio come l’artista Michelangelo Pistoletto che partecipava alla conversazione, per il semplice fatto che entrambi avevano la possibilità di esporre la propria arte in giro per il mondo, animando mostre nelle più importanti città europee e avendo in continuazione l’opportunità di conoscere persone straordinarie. Mentre riceveva questa affettuosa lezione di vita, poco prima di salire su un camion che l’avrebbe portata con la sua mostra ai confini della Russia asiatica, Donata già scattava fotografie a chi le stava di fronte e prendeva nota di nomi, luoghi, date e contesti. Il “caro diario” fotografico era già stato scritto, il percorso interiore attraverso il confronto con gli altri era già cominciato. Quando ha raggiunto la consapevolezza di aver cominciato a usare la macchina fotografica come una penna per scrivere il suo diario? È stato in quei giorni, nella prima metà del 2008: ho deciso che avrei iniziato a fotografare ogni giorno. Venivo da mesi intensi per il progetto di Zero intolerance, per il quale sapevo avrei ancora dovuto viaggiare moltissimo. La mia vita stava prendendo una direzione nuova in ogni senso, prevedevo di trascorrere un lungo periodo di tempo altrove, in luoghi lontani dalle rotte turistiche e dai percorsi artistici ed ero certa che avrei incontrato personalità fuori dal comune. Luoghi straordinari e persone straordinarie: queste prospettive mi hanno offerto opportunità uniche per misurarmi con me stessa e guardarmi dentro. Persone, luoghi, emozioni, vicende. C’erano già tutti gli ingredienti per una pratica autobiografica. Da molto tempo coltivavo il desiderio di dar vita a un’interazione con l’Archivio dei Diari, ne conoscevo il profilo e l’attività per i racconti che me ne avevano fatto Rosetta Loy e Mario Dondero e per i mille riflessi della storia di Vincenzo Rabito nella quale mi ero imbattuta. Inoltre ho sempre provato una forte attrazione per l’idea stessa di conservazione della memoria, così consona alla fotografia, e in quel momento avevo l’opportunità di offrire un mio contributo, andando alla ricerca di situazioni significative per il mio diario: sono sempre stata un’appassionata e interessata di architettura, andavo in Brasile e mi sembrava impossibile non fotografare un architetto come Oscar Neimeyer che era già ultracentenario (e che scomparirà, alla soglia dei 105 anni, nel dicembre del 2012 n.d.r.). Cosa provava mentre puntava il suo obiettivo verso di lui, verso un pezzo della storia dell’architettura mondiale del XIX secolo, e verso i molti altri autorevoli personaggi che ha immortalato? Il diario mi ha dato l’energia per scattare fotografie a questi mostri sacri: se non hai un giornale alle spalle non è facile richiedere e ottenere tempo e attenzione. Ecco, posso dire che se non avessi avuto il mio diario da portare avanti non so dove avrei trovato la sfrontatezza per ottenere certi risultati. Il mio fotodiario è diventato un "lavoro" e come per gli altri ho trovato in questo percorso parallelo una energia straordinaria. È come se mi avesse guidato qualcosa di più forte di me: se mi guardo indietro a osservare i passi che ho compiuto mi sembrano talmente grandi che stento a credere di esserci riuscita. Erano quelli i mesi che precedevano il deflagrare della crisi economica in Europa, il contagio si allargava verso il Vecchio Continente dagli Stati Uniti e l’Occidente cominciava a soffrire e perdere le proprie sicurezze: lei avvertiva questo cambiamento? Nel desiderio di fissare un’immagine, di fotografare c’è sempre una specie di disperazione, un’ansia di non lasciarsi sfuggire nulla. Nel mio caso percepivo la straordinarietà del mio momento di vita e provavo rabbia e smarrimento. Forse, in qualche modo, dentro di me anticipavo la crisi: sentivo che c’era qualcosa che stava crollando anche intorno a me, avevo la percezione di qualcosa di straordinario che stava per avvenire e la consapevolezza che questo qualcosa avrebbe avuto un forte impatto sulla vita di tutta la comunità. Minsk, Milano, Roma, Brasile, Svizzera, Slovenia… Sono solo alcuni dei luoghi nei quali ha incontrato artisti e non, personaggi noti e non, tutte quelle persone che compaiono nel diario, divenuto mostra, che esporrà a Pieve Santo Stefano. Qual è la figura più importante nella quale si è imbattuta in quel periodo? Gli incontri. Gli intrecci. Gli scambi. Un contatto fugace: non è detto che non sia più nutriente, se entri profondamente in contatto con qualcuno. Penso di aver vissuto sempre lucidamente la mia vita e la fotografia, sembrerà banale ma è sempre quella capacità di cogliere l’attimo ciò che il fotografo va cercando, soprattutto nei rapporti con le altre persone. C’è una fotografia più importante delle altre nella mostra che verrà? L’ultima immagine del diario, scattata da un amico fotografo. Una foto dove, di spalle, ci sono anch’io mentre converso con AlbertoGarutti, un artista del quale posseggo l’opera che appare nella stessa immagine. Siamo a casa, tre amici, un momento normale ma anche eccezionale perché non ritornerà. Quella casa non c'è più, i miei due amici non si sono mai più rivisti e l’opera è da allora in un deposito. Perché questa fotografia scattata da un “altro” è così importante per il “suo” diario? Perché il mio diario si compone di fotografie che rappresentano una fotografia di me, attraverso gli altri. (l’intervista è a cura di Nicola Maranesi)
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