Il male e la cura memoria 2004-2014
Rosenza Gallerani nata a Cento (Ferrara) nel 1951
Sto scrivendo queste ultime righe a dieci anni dall’inizio della malattia, accettare che il “male” venga dalla cura resta tuttora difficile. La mia vita è questa, niente più come prima, la cura mi ha salvato la vita e me l’ha resa stravolta. La malattia è una leucemia; la cura, un trapianto di midollo; il “male” è la Graft versus host disease, una aberrata reazione del sistema immunitario del donatore che non riconosce l’ospite, lo vede come un pericolo e tenta di debellarlo. La vita è quella di Rosenza Gallerani, nata nel 1951 a Cento, in provincia di Ferrara, dal 1963 a Santarcangelo di Romagna, in provincia di Rimini, dove risiede tutt’ora. Qui Rosenza si sposa, mette al mondo due figli, lavora come insegnante e in una ditta fino al 2004, l’anno in cui scopre che qualcosa minaccia la sua salute. Mi sveglio con il braccio sinistro pieno di lividi e, a pensarci, ne avevo sulle gambe anche a luglio. Il medico mi vede e prescrive l’emocromo urgente, da farsi l’indomani mattina. L’impiegata del punto prelievi dell’ospedale mi mostra il risultato: un’enormità di globuli bianchi; dal laboratorio analisi le hanno comunicato di contattarmi e di inviarmi subito all’ospedale di Rimini. Dopo gli accertamenti, la diagnosi: “Dottoressa intende dire ciò che noi comunemente chiamiamo leucemia?”, “Sì signora”. Capita di chiedersi come si reagirebbe ad una simile notizia, quando la cosa non ti coinvolge, ora è il mio turno e non sento niente, non piango, niente escandescenze, nulla, solo silenzio. Rosenza supera un’iniziale resistenza a intraprendere il percorso di cure, sospinta dall’incoraggiamento dei parenti e dalle valutazioni dei medici. Ho deciso di curarmi e nonostante la mia propensione per le cure alternative, non penso proprio che queste possano sostituirsi a ciò che la medicina occidentale propone, quando la malattia è così grave. È l’inizio di un lungo calvario che si snoda tra terapie invasive, somministrazioni massicce di medicinali che la indeboliscono nel corpo e nella mente, fino a provocarle stati confusionali e allucinazioni. I risultati arrivano, la leucemia arretra e, dopo altre titubanze, arriva anche il momento del trapianto del midollo, che nel gennaio del 2005 Rosenza riceve da una sorella, presso l’ospedale di Bologna. Purtroppo non è un passaggio risolutivo: il trapianto riesce ma si manifesta la Graft, il sistema immunitario è minato. Sono diventata rigida come un tubo di piombo, mi curvo in avanti come uno stelo d’erba secca, la pelle si spacca e ho piaghe ovunque, ho bisogno di aiuto in tutto. Assumo decine di farmaci, niente mi aiuta. Ci sentiamo soli, e adesso cosa si fa? La figlia le parla con pazienza e dedizione: ed è così che all’ennesimo fallimento di sedare il dolore, parliamo della mente umana e delle sue infinite risorse e mi dice che per combattere il dolore il vero antidolorifico è usare il cervello per spostare il pensiero, credi nelle tue possibilità nella capacità che ogni essere umano ha di dominare il pensiero. Rosenza e i suoi cari girano l’Italia in cerca delle migliori cure, da Ancona a Genova, fino a Bergamo: talvolta ottiene dei lievi miglioramenti, spesso seguiti da ricadute, senza che arrivi mai una vera svolta. Cambiare prospettiva, passare dal “non posso più” al “ora posso questo”, vivere lentamente, avere tempo per le cose che piacciono, permettersi di riflettere, di scrivere, smettere di rimpiangere, non è detto che vivere intensamente con l’immaginazione sia meno bello che vivere la realtà, riuscire ancora a sentire che dentro di me qualcosa canta. La guarigione intesa come ritorno al prima non esiste, forse questa è la vera guarigione.
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Il programma della 36^ edizione:
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