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Sergio Zavoli   Premio Città del diario 2011

Per l’anno 2011, Saverio Tutino e l’Archivio dei Diari assegnano il Premio Città del Diario a
Sergio Zavoli che nei giornali, nelle inchieste televisive, nei numerosi libri ha affrontato con stile
inconfondibile il complesso scenario della nostra storia recente.
Da giornalista radiofonico Sergio Zavoli si è distinto per le sue inchieste, per poi approdare alla
televisione. Oltre a raccontare momenti rilevanti (dalla guerra di Algeria, alla tragedia del Vajont,
all’evoluzione degli ospedali psichiatrici) con la sua originale espressione, Zavoli ha proposto
significative inchieste tra cui, solo per richiamarne qualcuna, Nascita di una dittatura (1972),
Viaggio intorno all’uomo (1987), La notte della Repubblica (1989) sempre ottenendo prestigiosi
riconoscimenti e premi. Indro Montanelli lo ha definito “il principe del giornalismo televisivo”.
Presidente della Rai dal 1980 al 1986, nel 1993, direttore de “Il Mattino” di Napoli, dal 2001
Senatore della Repubblica, attualmente Presidente della Commissione per la vigilanza dei servizi
radiotelevisivi.
Con la sua passione di grande cronista ha rilevato nel tempo una profonda ed umana curiosità verso
diversi soggetti, ciò sia nell’attività di saggista, oltre che di poeta. Dal suo Socialista di Dio (che
vinse il premio Bancarella nel 1981) al recente La questione. Eclissi di Dio o della Storia?, Sergio
Zavoli ha esaminato i grandi temi dell’etica, dell’attualità e delle sorti dell’umanità.
Pieve Santo Stefano, la città del diario e della memoria e di migliaia di memorie, riconosce in
Sergio Zavoli un testimone del nostro tempo, attento e sensibile, e lo riconosce quale compagno di
strada, là dove, riflettendo sugli orrori del ‘900 e la tragedia dell’11 settembre di dieci anni fa, ci
ricorda:
“Bisogna costringere la storia a restare sotto i nostri occhi, se è il caso per criticarla,
sbugiardarla, additarla, sempre. Non per far durare il rancore, dal momento che ci è impossibile
zittire una voce anche cristiana di protesta, ma perché non muoiano le certezza della colpa e la
lezione della sofferenza. Un grande salto generazionale, inedito nella sua irrevocabilità, ha disteso
una sorta di oblio sull’onta del secolo. Ma ho ascoltato anche tanti giovani che temono il ricrearsi,
in qualche nuova forma, dello scenario sul quale si è vista la vita tolta nei campi di sterminio,
adesso confutati sebbene una selva di documenti sia lì, per tutti, a dire che la memoria non è
sbiadita e indolore coscienza, ma una pedagogia reale, sensibile, fondata su un lascito anche di
carne e di spirito, che scorre nelle vene di una comunità prima ancora che sulle pagine – sempre
meno lette e via via più reticenti – della storia. Non dovremmo informare i giovani su ciò cui ci
richiama la memoria?”.

 
 
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