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nato ad Alia (Palermo) nel 1935 L’odissea della mia vita memoria 1939-2008
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vincitore del Premio Pieve Saverio Tutino 2012 leggi la motivazione della Giuria Nazionale
Quando nel 2008 Castrenze decide di iscriversi alla scuola media, a settantatrè anni, ha uno scopo preciso: nonostante l’età vuole imparare a “scrivere meglio” per raccontare il periodo più travagliato della propria esistenza. L’Odissea della mia vita che per quanto triste possa apparire è valsa la pena di essere vissuta è il risultato, ottenuto con fatica e grande forza di volontà, del suo impegno. La narrazione copre un arco temporale che va dall’inizio del Secondo conflitto mondiale fino ai primi anni Cinquanta: sullo sfondo una Sicilia arcaica, ancorata alle condizioni economiche e sociali del XIX secolo, dove vige quel latifondismo che contrappone pochi benestanti a migliaia di famiglie poverissime. Fanciulli sfruttati e privati della propria infanzia, garzoni e braccianti costretti a lavori durissimi, uomini ai quali è negato ogni diritto e ogni forma di dignità personale. Anche la famiglia di Castrenze è povera e numerosa, ma appare unita almeno nel corso dei primi anni di vita dell’autore. Ecco allora affiorare qualche sereno ricordo, come quello del giorno della prima Comunione, quando vestito di bianco vedevo in una grande estensione di terreno una villa con viali ricchi di fiore di qualsiasi genere e colore. Tutto era bello e guardando, era felice. Ma il dolore e il pianto […] sono in agguato: la morte del primogenito in guerra crea una profonda crisi tra i genitori di Castrenze. Dopo una serie di violenti litigi arriva la separazione e la madre non esita ad abbandonare marito e figli ancora piccoli per andare a convivere con un ricco possidente del luogo. Soli e abbandonati come pecore senza pastore, i bambini restano a vivere con il padre che si rivelerà però incapace di sostentarli. Castrenze finirà “sotto padrone”, prima come guardiano di bestiame, poi come bracciante. Sopporterà la fatica, la solitudine e ogni genere di angherie, fino alla violenza fisica e morale. Bisognoso di affetto, sentirà acuto e lacerante l’abbandono della madre, ormai completamente dedita al convivente e ai figli di secondo letto. Il rapporto con il padre non gli sarà di conforto: Un giorno, non ricordo il motivo, ma forse perché non lo avevo ubbidito nel comprargli un sigaro, si è infuriato e con tutta la sua forza mi ha preso per i capelli e mi ha trascinato per più di cento metri per le strade del paese, mentre io urlavo dal dolore. Sembrava un spettacolo! Pur ricordando queste cose tristi, ricordo per sfamarmi e dell'acqua per dissetarmi, chiedeva l'elemosina per darmi da mangiare e queste son cose che non si possono dimenticare. Raggiunta l’età adulta Castrenze decide di lasciare la campagna. In paese si lega sentimentalmente a una ragazza, che però vive prostituendosi e lo trascina di nuovo in una spirale di dolore e mortificazione. Nel momento più difficile però non si dà per vinto: incontra un datore di lavoro più umano e che lo fa avvicinare alla fede avventista. È quella che l’autore chiama la svolta della mia vita.
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