Un milione di vite Stampa E-mail

sabato 19 settembre ore 10.30 
Logge del Grano

GaddoFlego

Un medico ricorda il genocidio in Rwanda
di Gaddo Flego, prefazione di Pietro Veronese
I diari di Pieve, Terre di mezzo, 2015

incontro con Gaddo Flego, Jean Paul Habimana e Pietro Veronese
coordina Pietro Clemente
letture di Andrea Biagiotti

 

Il racconto del dottor Flego è [...] unico. Egli entra infatti in Rwanda dall’Uganda nel giugno del 1994 e si trova a compiere la sua missione umanitaria, come volontario di Medici senza Frontiere,nelle zone controllate dal Fronte patriottico ruandese. Vi resterà fino a guerra finita. C’erano, in quelle settimane e in quella parte del Paese, pochissimi espatriati. L’eccezionalità di queste pagine è quindi evidente. Il testimone ha uno sguardo necessariamente parziale. A lui non si chiede una visione d’insieme, bensì l’efficacia e la credibilità del particolare. Si capisce che vede poco; ma deve vederlo bene. Da questo punto di vista il diario di Gaddo Flego avvince. Scritto a vent’anni di distanza dai fatti, esso conserva una immediatezza impensabile. [...] Il genocidio è presente attraverso le fosse comuni, il lutto delle persone, i traumi fisici e morali, il numero incontenibile di orfani. Annotazioni rapidissime acquistano significato lapidario. Ad esempio quelle sulle menzogne di Radio France Internationale e della propaganda governativa francese. Ma anche gli incontri con gli esponenti del Fronte patriottico, quelli più cordiali, quelli più austeri, quelli più misteriosi; l’insensibilità dei giornalisti (ma perché i giornalisti sono sempre quelli che fanno la figura peggiore?). Il diario ruandese di Gaddo Flego è anche un documento prezioso sull’umanitarismo. Ci mostra semplicemente che cosa sia l’aiuto di emergenza. La necessità di fare; i compromessi tra la vita e la morte; le fatiche, i pericoli e le soddisfazioni; i dilemmi morali che non si presentano mai con luminosità cinematografica, ma sempre surrettiziamente, a tradimento; gli imperativi deontologici sui quali non è possibile transigere pena la fine di tutto; il senso inevitabile di abbattimento, di delusione e di vuoto quando tutto è finito. Un testo base direi, nel quale il dettaglio domina, e con esso il senso del credibile e del vero. Tuttavia questa dimensione del racconto passa necessariamente in secondo piano, perché non abbiamo a che fare con un’epidemia o un terremoto, e nemmeno con le devastazioni di una guerra qualunque. Il volenteroso dottore si ritrova dislocato al margine del cerchio entro il quale il male assoluto si sta ancora compiendo. Non sa, non vede, ma percepisce, e con lui i suoi lettori. Ben pochi, in quelle settimane annidate nel cuore dei “cento giorni” ruandesi del 1994, c’erano finiti così vicino. È una fortuna che quel ricordo si sia salvato e che oggi possiamo leggerlo.

dalla prefazione di Pietro Veronese

Il programma della 31^ edizione:  

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