Grande Guerra e crittografia diario 1915-1916
Cesare Pitoni nato a Pettorano sul Gizio (L’Aquila) nel 1892 morto nel 1965
La guerra è brutta. La Grande Guerra è stata la peggiore. Lo sa bene Cesare Pitoni e sa che non si può nemmeno dire. Nemmeno scrivere sul proprio diario. Perché se lo scoprono i superiori, o i censori, è prigione o fucilazione. I superiori, quelli che ti rovinano la vita più delle fucilate del nemico. L’anima mia si ribella, ma la mia volontà reprime gli scatti dei miei nervi. Ma soffro, soffro tanto. Io quando penso che qui non sono più un uomo, ma debbo essere un automa, un bamboccio, trattato come fossi l’ultimo dei facchini, mi ci vien da piangere. Se è destino che io debba morire in questa guerra, mi auguro che presto si faccia finita, così finirò di soffrire. Forse se morrò qualche indiscreto leggerà questi miei scritti e dirà forse che fui un cattivo soldato, ed io purtroppo non potrò rispondergli. Ma la fantasia non manca al soldato in trincea. Le ore trascorse da un artigliere nella buca, in attesa che arrivi la bomba che lo uccida, sono interminabili. E allora il sergente Pitoni usa la crittografia per scrivere liberamente le parti del diario più intime o compromettenti: decide che la lettera "a" dell’alfabeto in chiaro corrisponde alla lettera criptata "l", e così via slittando in avanti. Ovviamente, a conoscenza di tutto questo è lui e nessun altro. Privo di chiavi di traslitterazione, ecco pronto un nuovo vocabolario indecifrabile agli occhi di un superiore che si fosse impossessato del taccuino, e che solo l’occhio paziente di uno studioso, oltre un secolo dopo, sarebbe stato in grado di interpretare. Uno stratagemma per sfogarsi e denunciare. Prima frasi brevi a intervallare i racconti del quotidiano: ingiustizie mi rodono l’anima; il sottotenente quell’imbecille mi ha risposto anche male; il sergente maggiore vuole fare il comandante, quell’ignorante, se mi romperà le scatole andrà a finir male. Poi sempre più, un crescendo di parole incomprensibili al mondo ma indispensabili a lui, per portare fuori il racconto di imboscamenti e autolesionismi, finte malattie, innamoramenti, fughe e bombardamenti, morte e disperazione. Nell’ottobre del 1915 decide di denutrirsi per deperire e ottenere il congedo. Scrive in codice: Non sto mangiando più per dimagrire: ieri sera mangiai poco pane, 150 grammi, tonno 25-30 grammi. Stamane pane, 50 grammi, un bicchiere. Alle 9-1 limone con 30 grammi di zucchero e 20 di pane. Ora mangerò 20-30 grammi di pane assoluto. Domani riprenderò servizio, così il moto e il poco vitto mi faranno leggeretto. Ma la strategia non funziona e Cesare si infuria. Qui tutto è un imbroglio, tutto è fortuna, tutto è caso. Poveri malati veri! Meno male che son pochi, anzi pochissimi! Tutto è camorra e gli sciocchi fanno la guerra e si fanno ammazzare, mentre gli altri impinguiscono il portafoglio e si divertono al sicuro. Anche io ebbi un po’ d’entusiasmo, più per contagio che per altro, ma da tanto tempo è restato il disgusto. Tanti miseri muoiono e tante famiglie piangono, e gli ipocriti, dal cuore di belva, passano incuranti sul corpo dei martiri incoscienti. Un vicino o lontano domani, tra gli osanna di vittoria, faranno ritorno nella patria che non difesero e il loro nome forse formerà un capitolo nuovo nella storia. Riderei se non mi apparisse il triste quadro della strage di tanti figli e le lagrime di tante madri, di tante spose... Il sangue dei martiri ed il pianto di tante anime pare che gridino vendetta e da ogni cumulo di caduti pare s’innalzi nel cielo l’eco di un’imprecazione tremenda. Cesare esce vivo dalle trincee del Carso ed emigra in Argentina, portandosi dietro i diari che miracolosamente ci tornano indietro un secolo dopo a ribadire un messaggio criptato nella forma, ma nitido nei contenuti: la guerra è brutta. La Grande Guerra è stata la peggiore.
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Il programma della 35^ edizione:
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