Lilly Sammartino Stampa E-mail
Sammartino   nata a Burgio (Agrigento) nel 1953
Rompo il silenzio
memoria 1953-2010

segnalazione al Premio Pieve Saverio Tutino 2012
leggi la motivazione della Giuria Nazionale

Sono Lilly, e racconto la mia storia. Sono terza di sei figli. Mio padre si chiamava Giovanni, era figlio di gente ricca sia di beni che di cultura e navigava nel benessere. Fin quando Benito Mussolini in persona non decide di requisire al nonno paterno dodici navi mercantili, provocando un irrimediabile dissesto finanziario. Un sopruso che indurrà papà Giovanni a cercare vendetta privata: ritenendo Mussolini responsabile del disastro dell’economia familiare, decide di ucciderlo. Il proiettile, però, mancherà il duce e colpirà a morte un generale al suo fianco. L’attentatore si salverà dalla cattura solamente dandosi alla latitanza nelle montagne dell’agrigentino, vicino a Burgio. Giovanni, uomo collerico e prepotente, non ha tuttavia finito di combinare guai e così dopo aver violentato e messo incinta una giovane, che è costretto a sposare, viene allontanato dalla famiglia d’origine. Da questo fatto iniziò la croce per mia madre e per noi figli. Mio padre abituato a stare libero non sapeva che cosa significasse la parola “famiglia”. Si faceva fatti suoi e andava e tornava a casa a suo piacimento, viveva senza regole e quando se ne andava stava via anche per anni. Per l’autrice, ancora piccola, inizia un doloroso peregrinare negli istituti e nei collegi siciliani. La madre, disperata, decide di trasferirsi a Milano ma viene presto raggiunta dal marito il quale, non trovandola al Paese, decide di punirla uccidendola. Lei doveva stare dove lui l’aveva lasciata. Animato da un odio cieco, mette in atto il folle progetto: mia madre restò in coma diverso tempo e quando si sveglio non era la stessa persona […] era diventata un vegetale.
La famiglia è devastata: il padre deve scontare 19 anni di carcere, la madre passa dal coma al manicomio, Lilly e i fratelli finiscono in vari istituti tra la Sicilia e la Lombardia. Nel 1965 l’autrice è trasferita in un istituto a Seregno, in Brianza. Inizia un altro periodo duro: volevo essere accettata dalla gente per ciò che era il mio essere, e quando capii come andava la vita decisi di nascondere alla società la mia vera identità. […] A Quattordici anni iniziai a lavorare, e a ventitre cominciai a studiare. Nel frattempo mio padre usciva dal carcere e pretendeva di stare con noi figli, che sapendo che cosa aveva fatto a nostra madre non ci fidavamo di un uomo che non conoscevamo e per giunta violento. In fabbrica incontra Pier, un industriale di Seregno e se ne innamora. Pensa di sposarlo ma a pochi mesi dalle nozze si accorge di un suo tradimento e rompe il fidanzamento. Nel 1981 torna in Sicilia per visitare la tomba della madre e per rivedere i luoghi dell’infanzia. Trascorre le vacanze nell’isola e conosce Giuseppe: diverrà suo marito e dalla loro unione nasceranno tre bambini. La vita non è stata facile neanche con lui, ma col carattere che ho, e con la fatica che non mi risparmio, sono riuscita a portare avanti il rapporto fino a oggi. […] Non ho mai raccontato ai miei figli della mia famiglia e del mio passato. Col silenzio ho voluto spezzare la catena di disgrazie, che, come una cappa aveva avvolto la mia famiglia di origine.

 
 
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