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Con il tempo riuscimmo ad avere anche una casa tutta nostra, se casa si poteva chiamare, perché ci comprammo un "arco" sotto l'Acquedotto Felice per 80.000 lire. Sotto questo antico acquedotto, si era sviluppata una sorta di borgata abusiva che si allungava sotto gli archi tutte le minuscole "case" erano senza acqua corrente e senza servizi igienici che si potessero chiamare tali. Vi abitavano circa settecentosessanta famiglie e si stimava che ci vivessero circa cinquemila persone. L'acquedotto confinava con i nuovi quartieri periferici di Roma dove vi erano abitazioni costruite di recente e spesso anche sfitte. Questa era la contraddizione di una Roma che accoglieva, suo malgrado, mano d'opera a basso costo che veniva dalle regioni dell'Abruzzo, del Molise, della Calabria e della Campania. Sulla nostra testa, scorreva abbondante l'acqua che alimentava la zona di Piazza di Spagna, e le bellissime fontane del centro storico della città, ma noi donne dell'Acquedotto felice, non potevamo servircene e ogni giorno andavamo, con secchi e bacinelle a una pubblica fontanella. Gli abitanti del vicino quartiere fatto di case vere sulla Via Tuscolana guardavano a noi "baraccati dell'acquedotto Felice", con ostilità e diffidenza.
Giuseppina Pendenza, emigrata a Roma dall'Abruzzo nel dopoguerra, moglie, madre e lavoratrice esemplare. Autobiografia, 1936-1993
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Il programma della 33^ edizione:
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