9 luglio 1944 memoria 1935-1947
Pietro Poponcini nato a Civitella in Val di Chiana (Arezzo) nel 1935
Il giorno che cambia per sempre il corso di una vita. Un dubbio innocente impiantato nella coscienza di un bambino. Un senso di colpa inestirpabile dalla vita di un uomo. È lì, quella mattina, Pietro Poponcini. È il 9 luglio 1944 quando tedeschi e alleati combattono per strapparsi fazzoletti di campagna e boscaglia nel centro Italia, durante la Seconda guerra mondiale. Si trova nei pressi di Piazza Gianni, edificio rurale che oggi sfugge alle cartine geografiche, non distante da Civitella in Val di Chiana, comune in provincia di Arezzo dove pochi giorni prima i nazisti hanno massacrato per rappresaglia 244 civili. Pietro è con suo padre, Aldo, che si affanna a cercare un po' di cibo per la famiglia sfollata. Pietro ha un compito. Io normalmente mi posizionavo all'ingresso dell'aia in modo da poter vedere quando arrivavano i tedeschi dalla strada; ad un certo punto ne scorgo quattro che vengono giù correndo velocemente, vedo mio padre lo chiamo dicendogli "i tedeschi" lui si nasconde. Ma è tardi, Pietro. Ho ripensato tante volte a questo momento, dato che mio padre mi ripeteva sempre di stare attento e avvisarlo se c'erano i tedeschi. Li vidi sbucare (dalla parte opposta) all'improvviso mio padre era con me per l'ultima volta. I militari scoprono Aldo, lo catturano e lo portano via insieme ad altri tre uomini. Quello che avviene dopo resterà per sempre un'ipotesi. Penso che fossero arrivati l'alleati e vedendo questo gruppo di persone ritenendoli militari abbiano comunicato alle batterie di cannoni situati in Val di Chiana le coordinate della posizione. Diversi proiettili scagliati da quei cannoni esplodendo uccisero soltanto mio padre in particolare una scheggia attraversò il bacino all'altezza della cintura dei pantaloni. O un'ipotesi peggiore. Può essere successo diversamente: stavano percorrendo quel tratto, sono cadute delle cannonate nelle vicinanze, tutti e quattro l'italiani hanno cercato di fuggire giù dal greppo, i tedeschi vista la situazione con i mitra hanno sparato contro di loro, quello più prossimo era mio padre uccidendolo. Ma la sostanza non muta. Aldo è morto e Pietro carica dolore sul dolore di un bambino di nove anni, e sull'uomo che sarà. Questo magone me lo porto dietro ancora per non essere stato capace nel compito assegnato, se ero stato più attento, avendo calcolato tutte le possibilità; però dentro di me mi faccio questa domanda: è stata colpa mia se è morto? è un motivo, è un rimorso che mi porto dietro, dentro di me che per tanti anni ho voluto nascondere, scancellare questi miei ricordi dalla mente di un ragazzo. Ricordi che si paralizzano prima di rievocare la reazione della madre, Dina, al cospetto della tragedia. Non ho la forza mentale mi si blocca la mano per scrivere quella disperazione che occorse a lei con la sua sola forza riuscì a metterselo sulle spalle come un sacco tenendo stretto le sue braccia, anche se le gambe venivano trainate per terra riuscì a portarlo per circa mezzo chilometro ad una casa vicina mettendolo al piano terreno nella stalla nella basella del concio. Quanto tempo sarà stato che è rimasta insieme a Lui quanti pianti, quanta disperazione, posso soltanto dire che era piena di lividi di graffi nella faccia. Finita la guerra, Dina dovrà sopportare anche il lutto della perdita di una seconda figlia, concepita prima della morte del marito. Per Pietro si aprono le porte del collegio, di nuove sofferenze causate dall'educazione rigida impartita dalle suore e dalla lontananza dagli affetti familiari.
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Il programma della 33^ edizione:
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