Tania Ferrucci Nei miei okki Storia di una donna nata bambino Terre di mezzo, 2021
Tania Ferrucci ci ha consegnato una storia autobiografica di denuncia, scritta con piglio audace e rivendicativo, chiamando a testimone più volte il lettore e interrogandone la coscienza. Tania è nata nei bassifondi di Napoli nel 1960 in una famiglia disastrata. Il suo corpo è quello di un maschio, anche se fin da piccola si sente “bambina dentro”. Conosce presto la violenza, finisce in orfanotrofio e a tredici anni inizia a prostituirsi per sopravvivere e guadagnare i soldi che le serviranno per realizzare il suo sogno, la costosa operazione di cambio di sesso, che farà a ventisei anni. Diventa una bellissima donna e lavora come ragazza immagine nelle discoteche. Qui incontra alcol e droghe, a cui non sa sottrarsi, ma anche ricchezza e macchine potenti. È ammirata da molti, ma non trova mai risposta al suo più profondo desiderio: quello di conoscere “l’amorevitamia”, un uomo che la ami incondizionatamente. A trentanove anni, nel 1999, entra nelle comunità Saman dove comincia un percorso di disintossicazione e recupero che finirà nel 2010. Da ospite diventa collaboratrice della comunità, per cui ha lavorato fino al 2013. Il coraggio di ripercorrere la sua storia placa, in parte, gli interrogativi ai quali non darà mai risposta: perché è diversa, come si fa ad essere amati, perché la madre è stata così indifferente e feroce con lei. Trova nella scrittura un riscatto che dà senso al suo passato.
[dalla motivazione del Premio Pieve attribuito dalla Giuria nazionale nel 2020]
Patrizia Gabrielli Se verrà la guerra chi ci salverà? Lo sguardo dei bambini sulla guerra totale Storie italiane, il Mulino, 2021
Le scritture alle quali questa ricerca fa riferimento, pur nelle differenze che connotano le biografie delle autrici e degli autori, nonché il significato attribuito al conflitto, sono accomunate da un unico comune denominatore: essere parte della generazione del tempo di guerra.
Nei quaderni manoscritti dai bambini, nei fogli battuti a macchina o al computer di coloro che si immergono nei ricordi per tornare bambini e restituire la propria lettura della guerra, scorrono le vite di ragazze e ragazzi di campagna e di città, di famiglie ricche o poverissime, distinte da chiare appartenenze politiche o estranee alla politica. Davanti alla pagina bianca di un quaderno o di un foglio, armati di pennini, biro, di macchina per scrivere o computer, molti soggetti hanno spostato lo sguardo sul passato e riattivato ricordi, volti, fisionomie, sentimenti. Frugando nella memoria hanno riportato a galla esperienze diverse, le emozioni positive e quelle dolorose; hanno dato ordine ai ricordi sparsi e conferito loro un senso. Eppure, nonostante le differenze tra gli attori di questa storia, di cui lo stile e le forme prescelte nella narrazione, oltre che i temi privilegiati danno conto, colpisce un dato: la guerra imprime un segno indelebile nelle loro vite, da questa ferita scaturisce, nella maggioranza dei casi, il racconto di un’espropriazione. Le testimonianze sono diverse tra loro ma è presente nella maggioranza dei casi la forza invasiva dell’evento sul tempo dell’infanzia e la sua capacità di contrarlo irrimediabilmente. Coloro che si percepivano bambini, a guerra finita, anche se ormai anagraficamente il passaggio all’età adulta è compiuto, si sentono derubati di qualcosa.
Questi bambini traumatizzati, espropriati, gracili, impauriti, sono la generazione di donne e uomini protagonisti della storia del secondo dopoguerra. Nel 1945 sono adolescenti alle soglie della giovinezza, impegnati nella ricostruzione del Paese a partire da sé stessi e dalla propria famiglia, dalla comunità di appartenenza. Se ci fermiamo a osservare il trauma, unicamente questo, la ricostruzione del Paese può sembrare impossibile, un miracolo. Nello scenario devastato del dopoguerra, invece, questa generazione si è impegnata nella costruzione di una nuova Italia e lo ha fatto assumendosi responsabilità individuali e collettive, animata da un sentimento di fiducia e di speranza. [dall’introduzione di Patrizia Gabrielli]
Basta un vento lieve Storie migranti introduzione di Antonio Damasco postfazione di Paule Roberta Yao Terre di mezzo, 2021
Basta un vento lieve, quarto volume della serie DiMMi Diari Multimediali Migranti, contiene le quattordici storie premiate e selezionate dalle commissioni di lettura tra le oltre sessanta spedite per il concorso DiMMi 2020.
Così arrivate voi, che raccontate storie diverse, che descrivete paesaggi in cui io non ci sono, ma soprattutto che mi fanno male, che senza intenzione rovesciate i personaggi con i quali sono cresciuto. Mi chiedete di tornare in disequilibrio, come prima della scelta, del mio ruolo faticosamente raggiunto, ma non capisco in quale pezzo della vita inserirvi e anche se ho voglia di farlo. Poi arrivate voi e mi dite che se non torno bambino, se non rimescolo le carte della mia storia non comprenderò. Ora, vi rendete conto di quanto sia pericoloso questo libro, mi domandate di leggere storie nuove con gli occhi che ho perso, con lo stupore che non ricordo, con quel gioco che non so più fare. La verità è che io so che le vostre storie sono il mio peggiore incubo, ma anche l’unica possibilità che avrò per tornare a cambiare, svestirmi di certezze vane e provare a essere un cavaliere, una principessa, un soldato o una danzatrice, ma allo stesso tempo un drago e il buio che mi faceva paura. Per questo oggi ho deciso di leggervi. [dall’introduzione di Antonio Damasco]
La pandemia ci ha consegnato le macerie del mondo contraddistinto dall’avanzare delle disuguaglianze, della paura dell’Altro e del razzismo. Il covid-19 ci ha travolto mietendo così tante vite umane e fungendo da catalizzatore di quanto più critico, disumano e disfunzionale albergasse nella nostra società. La crisi sanitaria è stata ed è tuttora una sfida epocale che mette ognuno di noi davanti alla necessità impellente e improcrastinabile di ripartire dalle rovine per costruire un nuovo paradigma, per ripensare un nuovo modo di stare e vivere insieme imperniato sulla tutela dei valori quali la dignità e i pari diritti a favore dei più vulnerabili. Nelle storie di quest’anno emerge in maniera molto netta il desiderio di trascendere le vicende personali trasformandole in ponte tra la sfera privata e la dimensione collettiva. Le storie diventano così un tassello di comprensione, una chiave di lettura in più nello sviluppo di un racconto corale che coinvolge e riguarda tutti. [dalla postfazione di Paule Roberta Yao]
Jean Paul Habimana Nonostante la paura Genocidio dei tutsi e riconciliazione in Ruanda illustrazioni di Luciano Scalettari Terre di mezzo, 2021
Ci sono storie che non vuoi sentire, ma che non puoi fare a meno di ascoltare (o di leggere, nel caso di un libro). Sono storie che ti fanno tremare, indignare, fremere di rabbia, commuovere. Storie che ti lasciano col groppo in gola, ma in questo caso anche con la consapevolezza che l’umanità e l’amore sono capaci di piegare e mutare i più tragici destini. In queste pagine si parla di Ruanda, non quello di oggi, che cresce, moderno, in tumultuoso sviluppo, seppure fra tante contraddizioni. Si parla del Ruanda del 1994. Quello del genocidio. In questo libro Jean Paul Habimana, ventisette anni dopo i fatti, si racconta, dopo aver maturato tanto a lungo la difficile decisione di mettere nero su bianco ricordi e momenti che i più vogliono dimenticare. Una vicenda, quella narrata nelle pagine di questo suo libro, da imparare a memoria. Perché non deve accadere mai più. Perché non è un evento che può capitare solo nel remoto Ruanda, ma ovunque, quando si crea e si pianifica la costruzione dell’odio per il diverso. Il valore di questo racconto, tuttavia, non si ferma al fatto che Jean Paul è “un sopravvissuto”. Va ben oltre quei mesi del 1994. C’è il dopo. Quello che lo vede seminarista, e poi studente in Italia. E soprattutto quello che lo riporta in Ruanda da Marie Louise. Ebbene sì, questo libro è anche una stupenda storia d’amore. Chi volta pagina e inizia a leggere questa storia difficilmente riuscirà a fermarsi e a chiudere il libro. Perlomeno a me è capitato così, ho posato il manoscritto quando albeggiava. Jean Paul mi deve una notte insonne. [dalla prefazione di Luciano Scalettari]
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Il programma della 37^ edizione:
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