La caduta degli idoli autobiografia 1931-1960
Teresa Pacetti nata ad Albano Laziale (Roma) nel 1931
Una madre con un carattere altero ed egoista, un padre con un carattere brillante e generoso. È la dicotomia che segna l’infanzia di Teresa Pacetti, nata in provincia di Roma in piena epoca fascista, quinta di cinque figlie femmine, cresciuta in una famiglia agiata. Mio padre stravedeva per me, mi coccolava, mi dava due soldi se mangiavo tutta la minestrina e credo che questo faceva ancora di più aumentare l’astio che mia madre aveva contro di me, perché per ogni carezza di mio padre era un rabbuffo di mia madre. Le coccole e le attenzioni, la stupenda automobilina rossa ricevuta in dono – io ero felice lui raggiante – tutto contribuisce a mitizzare la figura del genitore, impresario edile, e a incardinarla al vertice di un solido schema di riferimento. Avevo anche un altro padre sulla terra che vegliava su di me per il mio bene e il mio futuro e questo si chiamava Benito Mussolini, poi c’era anche il re che si chiamava Vittorio Emanuele e sua moglie, la regina Elena, che instancabili lavoravano assieme al Duce per il bene del popolo italiano. E infine avevo anche imparato a pregare per un’altra madre che avevamo e si chiamava Patria: O Signore onnipotente Tu che comandi ai flutti e alle tempeste, salva la nostra madre Patria, salva ed esalta il re salvaci il nostro amato Duce. Amen. Un quadro dogmatico che il 10 giugno 1940 trova esaltazione nella prospettiva della Seconda guerra mondiale. Ne fui felicissima e battei le mani assieme a migliaia di persone che sentivo batterle alla radio e che erano a Piazza Venezia. Dio! Come avrei voluto esserci anch’io e vedere, sentire il Duce da vicino. Mia madre mi guardò, come si guarda una povera demente e i suoi occhi erano pieni di lacrime. Di dramma in dramma, il conflitto sgretola tutte le certezze: il cibo scarseggia, il lavoro manca, la vita è ogni giorno in pericolo. Gli idoli cadono. Mi sembrava impossibile che ci fosse tanta gente che odiasse così il Duce e ne restai allibita. Tutti gridavano, tutti rompevano ciò che era fascista. Perfino mio padre che si era sempre dichiarato fascista della prima ora, arrivando a casa fece sparire un medaglione con l’immagine del Duce ed il fascio proclamandosi un accanito antifascista e raccontando come nel 1929 aveva dovuto subire quaranta giorni di carcere perché socialista. Io in tutta quella baraonda avevo le idee molto confuse. È solo il preludio alla vera sofferenza. Dal balcone della casa ad Albano Laziale, aguzzando la vista, Teresa scorge lo sbarco dell’immensa flotta angloamericana sulle spiagge di Anzio. La famiglia Pacetti sfolla in Toscana, a Carrara, e poi a Forno in provincia di Massa dove nel giugno del 1944 si consuma l’eccidio nazifascista che costa la vita a 60 persone tra partigiani e civili. Alle prime luci dell’alba sentimmo grida strazianti di donne che rimbombavano attraverso i monti. I tedeschi ed i fascisti avevano preso 70 uomini per la maggior parte anziani e ragazzi, li avevano allineati sulla strada vicino al greto del fiume e poi sparandogli con il mitra li avevano ammazzati tutti. Un nuovo sfollamento, e nuove sofferenze, conducono finalmente Teresa e i suoi oltre la linea del fronte, ma non ancora al sicuro: a Rosignano Solvay le sorelle subiscono un tentativo di violenza da parte di soldati americani, il padre è costretto a usare il coltello per difendere le figlie e ferisce un militare. Assolto da un tribunale improvvisato, viene allontanato con la famiglia a Roma, dove la vita riprende a fluire pur tra molte difficoltà. Teresa scopre l’amore e conosce Primo, futuro marito. Memorabile il loro viaggio di nozze, in vespa, tra i monti dell’Abruzzo, preludio alla ricerca non facile di un figlio, Maurizio, che vedrà la luce nel 1960.
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Il programma della 35^ edizione:
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