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Ottantacinque giorni chiusi | foto di Luigi Burroni

Ottantacinque giorni chiusi

Il Piccolo museo del diario, come tutti i luoghi di cultura, ha dovuto chiudere le sue porte, disdire le prenotazioni, rinunciare agli incassi da bigliettazione e da vendita bookshop. Mai come in quei fatidici tre mesi, dall’8 marzo al 31 maggio, avevamo avuto gruppi prenotati, scuole in particolare. Ci stavamo preparando a uno dei nuovi record che il museo ci regala da quando ha iniziato ad accogliere visitatori. E invece tutto a zero, in un attimo.

Quello che non è mancato - mai - nemmeno nei momenti più difficili nei quali tutti eravamo impegnati come potevamo a sostenere strutture e organizzazioni coinvolte nell’emergenza sanitaria, nemmeno allora, in quei giorni bui segnati da bollettini quotidiani sconfortanti, ci avete fatto mancare il vostro appoggio.
Come se sapeste, senza neppure dirvelo, che avevamo subito danni con la chiusura dei nostri spazi, l’azzeramento delle nostre attività, le disdette, che per alcune categorie di frequentatori - gruppi scolastici in primo luogo - si protrarranno ancora per tanti mesi. E chissà fra quanto, nel nostro piccolo, piccolissimo museo, potremo di nuovo assembrarci davanti al Lenzuolo di Clelia Marchi o intorno alla macchina da scrivere di Rabito e guardarci sorridere.

Ottantacinque giorni chiusi durante i quali i diari chissà cosa avranno combinato da soli in quegli scaffali dell’Archivio e nei cassetti del museo!
Quando il primo giugno abbiamo riaperto il portone, fatto prendere aria alle sale, igienizzato le superfici, studiato protocolli e stampato moduli, siete tornati. Contingentati, con le vostre mascherine variopinte, pronti a distanziarvi e a farvi condurre. Ma siete tornati. In tanti e con un flusso costante di persone e di emozioni che dura anche dopo, per mail, sui social, addirittura con cartoline scritte a mano indirizzate al “caro museo”. Siete tornati a comprare nel bookshop fisico e online, anche più di prima, e avete continuato a donare, al museo, all’Archivio, al Premio Pieve.

Senza interruzioni, vi siete presi cura delle storie conservate a Pieve, un patrimonio collettivo da tramandare alle future generazioni, che abbiamo cercato di condividere anche nei lunghi giorni di chiusura, quando siamo venuti noi da voi portando nelle vostre case i diari di altre quarantene lungo due secoli o le incredibili trenta ebiche di Vincenzo Rabito alle quali ha dato voce e corpo Mario Perrotta nel suo Manuale di sopravvivenza. Così, il filo che ci lega non si è mai spezzato, neppure per un giorno e vi siamo profondamente grati per la vostra capacità di trasformare e rendere attiva la memoria affinché sopravviva al Covid e a qualsiasi altra tempesta.

                                                                   Loretta Veri

 

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