Il commento del lettore - Francesco Ferruccio Zattini Stampa E-mail

Un po' Pascoli, un po' Kafka; Zatten!
La prima cosa che viene in mente leggendo il diario di questo Bonvi-fantaccino della I guerra mondiale è che le scuole di una volta dovevano essere parecchio meglio di quelle di adesso. Il nostro ha solo frequentato, non completandole, le "Magistrali", ma scrive da dio; mi piacerebbe leggere le sue avventure affidandole, se non ai joystick di un liceale contemporaneo, ad isterismi post-sessantottini o a riflussisti post - settantasettini e verificarne il risultato letterario. Probabilmente non ci si guadagnerebbe.
Parte con qualche smielatura, il nostro Zattini: "9 gennaio (1916)- Il sole già indora le vette delle montagne che con imponenza e sfida fanno corona a Tarcetta, quando mi alzo dal giaciglio e stropicciandomi gli occhi e barcollando come un ubriaco esco dal fienile per respirare un po' d'aria pura...(omissis)... Alle 11,40 si passa il vecchio confine ove di austriaco non esiste altra traccia che la vecchia garitta ove il finanziere chissà quante notti insonni ha passate.". Grande prosa soffusa di lirismo; appena una spruzzatina di retorica, d'altronde inevitabile ai primi del secolo e piacevole anch'essa. Ma si è sbagliato a dire "Parte"; il nostro è già in viaggio per il fronte, anzi è praticamente arrivato. Presto comincerà a scavar trincee fra neve e roccia. Subito comincerà a combattere, fra quelle trincee.
"19 gennaio 1916 - ...(omissis)... Savoia! Avanti ragazzi! - pronunciato dal Sig. Capitano, ci fece balzare in piedi come molle, e col fucile impugnato col calcio stretto al fianco e con la baionetta in alto, ci slanciammo di corsa all'assalto. - Attenti... evitate gl'inganni che sono nel terreno - ... gridano gli ufficiali. Cosa si prova! Quasi un alt! dato durante una corsa... ".
"26 febbraio 1916 - ore 11 rancio unico e si parte per la Carnia.".
Gennaio, viaggio e trincee; febbraio, combattimenti. Dopo tradotte, pallottole, baionette scolasangue, arriva marzo: arrivano le valanghe.
"6 marzo 1916 - Anima santa e bella di papà mio! Fosti tu che mi venisti a riparare, salvare dalla morte che certamente doveva colpirmi, il giorno 4... (omissis)...mi ero appoggiato al grosso albero che sosteneva la baracca del posto di corrispondenza. E quando ebbi la percezione del disastro che ci minacciava, per istinto di difensiva o di protezione, mi attaccai con tutte le forze che la lotta per l'esistenza infonde al primo grosso ramo di detto albero. Fu questo un vero miracolo! La valanga, investendomi a pieno, voleva trascinarmi nella sua fuga precipitosa, sentivo una pressione intorno alla (?) corpo, che mi toglieva il respiro, la testa che avevo ritirato nelle spalle sembrava volesse da un momento all'altro staccarsi. Trattenevo il respiro perchè sembravami che respirando non potevo far forza, intanto, un rumore che chiamo infernale, perchè altro nome non merita, era intorno a me, nella testa e quando si allontanò e (?) stabilire di essere passata la bufera, vado per aprire gli occhi, ma non potei, la neve mi aveva ricoperto tutto. Mi si strinse il cuore e se non mi fosse comparso papà, il povero babbo mio innanzi che sembravami rispondere alle mie invocazioni di aiuto, certamente non avrei fatto nesuno sforzo per liberarmi ed avrei atteso la morte che con certezza non sarebbe tardata a venire che pochi minuti.
Invece no, con l'impressione il mio povero babbo si adoperava per liberarmi, io che sempre ero avvinto al ramo, mi provai a tirar su, ma non ero capace. Contemporaneamente sentivo qualche cosa muoversi sotto i piedi e come una molla che mi sollevasse, accoppiando così i miei sforzi, potei finalmente tirar fuori la testa, respirare e vedere... tutto bianco, solo cinque o sei dei sessanta che eravamo erano nella condizione mia più fortunata di tutti invero.
Una volta tirata fuori la testa, potei facilmente liberarmi tutto, e dall'apertura che tirando fuori il mio corpo si era fatta, vidi un compagno che faceva sforzi disperati per muoversi ma come poteva mai da solo liberarsi di oltre due metri di neve che lo avevano ricoperto? Balbettando, perchè parlare bene non potevo gli feci capire di stendermi una mano, la strinsi forte, mentre ero disteso sulla neve e con la sinistra stringevo il ramo che mi salvò, potei tirarlo su, ma era in condizioni da far pietà...(omissis)... Cosa gridammo? Furono certamente gridi di aiuto perchè in pochi minuti a centinaia vennero i Bersaglieri armati di badile e cona la loro umanitaria opera salvarono non pochi dalla morte. Non posso descrivere il mio stato d'animo. No, certe cose non si possono scrivere.".
E invece le hai scritte, Zatten! Mirabilmente scritte; e in mezzo fra Pascoli e K., compare uno Stephen King ante litteram; solo che Zattini scrive meglio.
Qualche altra valanga e la nostra storia si acqieta relativamente e testimonia altri aspetti della guerra e della vita militare così normale e bizzarra insieme. Intanto l'attività di vedetta: "Era una notte umida ed elettrica. Lampeggiava senza tuono, dietro il Monte Baldo. Passavano soffii come aneliti; nuvole passavano come criniere in cui s'impigliassero stelle, gocciole cadevano larghe e tiepide come al principio d'uno scroscio, poi cessavano. Gli assioli cantavano sui pioppi. Un cane uggiolava in un casale. Cigolava un barroccio su la strada maestra. Era come una notte nata che ritornasse nel giro degli anni, di molto molto lontano.".
Come in un diagramma di oscilloscopio, siamo partiti piano, dal basso, siamo stati e non solo simbolicamente, sulle vette e piano piano si ridiscende, ma solo per quanto riguarda il ritmo delle vicende; non certo per l'eccellenza formale e sostanziale del narrato. Dalla vedetta alla nomina a telefonista; sei sempre fra valanghe e pallottole, Zattini, ma è come se la baracca militare fosse la scuola - alloggio dell'agrimensore. Inizia forse l'incubo peggiore? "25 marzo 1916-....(omissis)... Ora sono qui, in questa baracca di tavolato l'interno,di tonchi d'albero il tetto e tre lati mentre il quarto lato è di granito. Il tetto è anche blindato in cemento...(omissis)... Scrivendo, volto le spalle alla stufa, ho a destra la branda che occupa l'altro lato, a sinistra l'ingresso."."30 marzo 1916 - Longo , - Zattini, - ho piacere di fare la tua conoscenza, - il piacere è mio. Queste parole ho scambiato con un soldato del 3° Genio, un bel tipo di siciliano, che (?) equipaggiato è qui venuto...(omissis)... ora quello del genio ha la responsabilità del buon funzionamento del servizio, ed io, sono il responsabile presso il Comando di Battaglione per i fonogrammi in arrivo e partenza che vi saranno. Quale dei due ha più responsabilità? Più servizio? Dovremmo certamente stare ambedue all'apparecchio, se, di buon accordo non stabilissimo un turno.".
Emerge l'uomo che rappresnta tutti gli uomini, si sviluppa l'umana commedia. Scampato a proiettili, baionette, sharpnel e valanghe, Zatten non è meno preoccupato dai risvolti burocratici del suo nuovo e relativamente comodo incarico. Ambirà a trasferirsi in una postazione più sicura, troverà patti vantaggiosi con il potenzialmente scomodo collega e nelle ultime pagine ci racconterà principalmente di dispacci inviati o ricevuti. La fine del diario è rappresentata dal simbolismo involontario (?) del ritrovamento di un altro diario, smarrito sul campo i battaglia e non si sa come, poichè lui non combatte più, entrato in possesso del nostro: "Diario di un ufficiale austriaco rinvenuto nel campo di Battaglia dal Bers.
Il diario è guasto dall'umidità ed ha alune pagine sgualcite. Manca di 42 pagine - va dal 13 luglio all'11 agosto 1915.E' scritto tedesco ma la lingua lascia a desiderare sia per l'ortografia che per la grammatica e la sintassi. Evidentemente chi lo ha scritto non è un tedesco: difatti a pag. (?) ho letto:"Sono nato Slovano". Per quante ricerche si sono fatte frai prigionieri non si è potuto aver notizia alcuna del suo autore".
Ancora poche righe e il lavoro del nostro Zattini finisce. Un'avventura (non solo)letteraria irripetibile, con questo finale nel finale a creare vertiginose iperboli dopo i tagli della battaglia, le fragorose slavine, l'ovatta inquietante della telefonia militare.
Francesco Ferruccio Zattini da Palestrina, 1895 - 1977, ha riportato a casa la pelle ed ha fatto l'impiegato a Roma, si spera godendosi un po' di pensione, marito, padre e nonno. Purtroppo, a quel che si sa, non ha più scritto; purtroppo molti invece, anche oggi, scrivono e continuano a farlo (e non mi riferisco ai diaristi: ben vengano, anzi). Si ringrazia sentitamente il nipote, Paolo Giovannini, per averci spedito il diario e aver reso pubblico qualche frammento di arte e umanità.

Enrico Giovanelli

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