Salvatore Grassi Stampa E-mail

Brani scelti
grassi01 Il Colportaggio
Appena ci fummo sistemati nel nostro modesto appartamento, tornai al mio lavoro, contento della mia nuova sede.
Ancona sin d'allora era una bella città marinara. La sua posizione è incantevole, il suo clima mite, la sua acqua potabile ottima. Venendo da una regione arida, in cui la sete si faceva sentire continuamente, là invece, non la si sentiva più. Avere in casa un rubinetto, dal quale si poteva far scorrere quanta acqua volevamo, sia per bere, come per cucinare e fare il bucato, senza la minima fatica, ci sembrava un sogno.
Anche la vita economica era ottima; il mercato abbondava di tutto; carne, pollame, verdura, frutta, e soprattutto pesce freschissimo…
In una parola, si stava proprio bene, specie per una famigliola come la nostra, che aveva conosciuto tutte le strettezze e tutte le privazioni. Ben presto Irene si arrotondò e la magrezza scomparve. La popolazione era cortese, pacifica, socievole; le idee assai liberali, anzi libertarie. In materia religiosa poi, era scettica, tollerante, indifferente, quando non era contraria. Negli uomini poi, specie nei cittadini, predominava un ateismo o anticlericalismo estremo, come ebbi a sperimentare in seguito in tutta la regione che era stata per tanti anni sotto il dominio papale.
Dato questo ambiente, il mio lavoro riusciva molto difficile. Il colportaggio evangelico deve compiere un compito assai arduo, e se la Grazia di Dio non lo assiste continuamente, chi lo esplica, e lo Spirito Santo non lo illumina è un vero fallimento. E tuttavia, io lo consiglierei per tutti i candidati al Sacroministerio della Parola, almeno per qualche anno, prima di affidargli una Comunità, perché al contatto del pubblico, sovente rozzo, ignorante, maleducato, e sovente fanatizzato da preti immorali ed ignoranti, si fanno delle preziose, anche se dolorose, esperienze, e talvolta sconcertanti, che serviranno quando si è nel pulpito.
Si tenga presente, inoltre, che 50 – 60 anni fa l'analfabetismo aveva una percentuale elevatissima, e per collocare delle Bibbie, o delle semplici porzioni dell'Evangelo, era una cosa assai ardua. Si ascoltava volentieri le meravigliose spiegazioni dei tratti più salienti dell'Antico e del nuovo testamento, e le necessarie e pacifiche controversie, per chiarire la differenza tra gli evangelici o protestanti, come si usava chiamarli allora. Ma di libri se ne vendevano pochini. La società aveva fissato un certo limite di vendite come minimo mensile, nei luoghi visitati, e si doveva spedire a Roma una cartolina stampa, da ogni luogo visitato, perché dal timbro postale si controllava se, in quel tal luogo poi ero stato o no in quel giorno. Le capacità del Colportore, apparivano dall'entità delle vendite in accordo col rapporto mensile.
Quando Irene giunse ad Ancona col bimbo, la prima cosa che mi chiese, fu quella di sapere se in Ancona vi era una Comunità Evangelica. Le risposi che vi era la Metodista Episcopale – mi ero informato e visto anche dove si riuniva, e ne fu assai contenta, non importandole la denominazione, ma la presenza in loco di una Comunità cristiana.
La domenica successiva ci recammo al culto. Si riuniva in un salone al primo piano di una casa prospiciente al Municipio.
Entrati appena all'inizio del culto, vedemmo una ventina di persone di umile condizione. Per loro noi eravamo dei curiosi, e non ne fecero alcun conto. Ma iniziatosi il canto d'apertura, sentendo una nuova voce melodica ed intonata perfettamente, cioè quella di Irene, che già guidava il canto ,si cantava senza armonio, perché mancava quel giorno l'organista. Con la sua voce armoniosa e dolce, compresero subito che eravamo evangelici, ed una signorina si affrettò a porgerle un innario.
L'organista era un vecchio accordatore di piano, di nazionalità tedesca, dimorante in Ancona, tale Herri Holgausen, convivente con una figlia giovane, assidua e pia.
Veduto che Pierino, al canto s'innervosiva, lo portai fuori, e così il culto non fu disturbato. Rientrato alla fine, vidi che tutti si stringevano attorno ad Irene, complimentandola per la sua voce, e saputo che eravamo di Bari e della Chiesa Valdese, ed ora dimorante in Ancona per il mio lavoro di Colportore, ne furono molto lieti, per l'acquisto di due nuovi membri.
Il Pastore il sig Aristide Friggero, una bella e serafica figura, dalla magnifica barba ben curata,e dalla facile eloquenza comunicatrice, il giorno dopo venne in casa per farci una visita. Era accompagnato dalla sua buona signora, veneti entrambi e senza figli, tenevano con loro una nipote: la sig Enrica, una giovane bella e svelta che subito simpatizzò con Irene, come fecero ben presto tutte le altre sorelle della chiesa. La Comunità era composta nella sua massima parte da signorine giovani ed anziane quasi tutte tedesche, in servizio presso famiglie benestanti anconetane,come istitutrici, ed erano gentilissime, cortesi ed affettuose.
Vi era l'indimenticabile signora Weidas, moglie del Direttore del Gassometro cittadino, un compito signore, evangelico che però non frequentava i culti a motivo della sua occupazione, ed avevano un unico figliolo, un bel ragazzo robusto ed intelligente. Questa signora, assai fine si affezionò moltissimo a noi, veniva spesso a visitarci, e, da buona tedesca, mai a mani vuote. Saputo che Irene era un'abilissima sarta divenne subito sua cliente ed ammiratrice entusiasta della perfezione dei suoi lavori.
Vi era una distinta famiglia Barese: Natrella. Lui era il Direttore dell'Intendenza di finanza, aveva moglie e figli, e tutti assidui ai culti. Anche quella famiglia saputo che eravamo di Bari ci si affezionarono e volevano molto bene ad Irene. Vi era una famiglia siciliana, lui Prof Bruna insegnante in un Istituto locale,con la moglie ed un figliolo. Di anconetani non c'era che il custode e la moglie, gente molto semplice e modesta.
C'era ancora un'altra famiglia barese: Carrassi. A Bari c'è un rione denominato Carrassi, con l'attigua cappella di detta famiglia. Il signor Carrassi aveva sposato in Bari, in seconde nozze un'insegnante toscana che si trovava colà in servizio. Egli aveva già due figli dalla prima moglie, uno impiegato presso una società di navigazione, quella del padre e l'altro già Commissario di Pubblica Sicurezza. Dal secondo matrimonio aveva avuto un figlio Ezio. Allora S. Tenente di Pubblica Sicurezza, e Maria, una bella e formosa giovane, ma difettosa: Vista debolissima – quasi muta. Era colta ed intelligente ed anche poetava.
I due primi figli non li abbiamo conosciuti. La sig.ra Carlotta Carrassi, assieme a Maria conviveva col figlio Ezio, sposato e senza figli, sua moglie era una personcina – che soprannominavano: Madama Stecchetti – figlia di un falegname, conosciuta quando lui era maresciallo di stanza nel paese della signora. La sig.na Maria, quando la conoscemmo poteva avere circa 25 anni, pur dimostrandone molti di più per la sua corporatura. A causa della sua infermità aveva inventato un suo alfabeto con le dita della mano, e così quando lo si era imparato, si poteva conversare. Come baresi, madre e figlia divennero assidue di casa nostra, entrando subito in piena confidenza. Le piaceva molto la nostra cucina e condividevano volentieri le nostre pietanze frugali. La signora Carlotta di tutto quello che mangiava diceva d'esserne ghiotta! E poiché non andava d'accordo con la nuora e col figlio il gustare il nostro cibo, accadeva spesso e volentieri. Per la signora Carlotta il motivo del dissenso, era perché il figlio prodigava tutte le sue attenzioni alla moglie, anziché a lei ed alla sorella.
Pretendeva che il figlio le desse il braccio quando uscivano oppure lo dasse alla sorella invece che alla moglie. A tavola esigevano che fossero servite prima loro che la moglie, e tante altre stupide preferenze. Conviveva con gli sposi anche la madre di lei, che però in casa non aveva che le funzioni di serva a tutti. Sapemmo di questo dissidio famigliare, come ce lo raccontavano loro passando per vittime, perciò ci proposero di coabitare insieme, affittando un appartamento più grande, dato che io viaggiavo continuamente ed Irene rimaneva sola col bambino. Irene per poco non cascava nella rete, per il suo buon cuore. Ma la Provvidenza che ci proteggeva, ispirò il buon pastore Friggiero ad aprirci gli occhi. Saputo dell'armeggio delle care Carrassi, venne appositamente a trovarci e ci sconsigliò fermamente, mettendoci al corrente di come stavano veramente le cose, e così, trovando una scusa plausibile e decorosa non se ne parlò più. A dire il vero, la troppa famigliarità che si prendevano, ci seccava alquanto, ma le sopportavamo cristianamente, e non demmo mai loro l'occasione di lamentarsi di noi.
Intanto il mio lavoro andava piuttosto male per le vendite, e quasi quasi ero deciso a dimettermi, ma Friggiero al quale confidavo le mie preoccupazioni,mi venne ancora in aiuto, con un suo saggio ed illuminato consiglio. “Senta” mi disse, “qui nelle Marche ci sono mercati e fiere tutti i giorni, nei vari paesi della regione, provi di lavorare nei mercati e nelle fiere, dove affluisce tanta gente, e vedrà che le sarà più facile di vendere. Fu un consiglio ispiratore. Mi procurai il libro delle fiere e dei mercati, ed invece di andare di casa in casa, lavoravo nei mercati e nelle fiere, ed effettivamente ne vidi il profitto, perché vendevo di più, con molta facilità evangelizzando singoli individui e gruppi più o meno numerosi. Presi animo, perché potevo far vedere alla società, con le richieste di libri, che il lavoro andava bene.
Per ragione di comodità e di economia, cambiai diversi alloggi, sempre nel medesimo rione, e poter così ospitare qualche sorella di Irene che facevo venire da Bari a tenerle compagnia ed aiutarla a curare il ragazzo quando essa era presa dal lavoro.
Una alla volta venne Maria, Teresa ed Ines per darsi il cambio, perché tutte volevano venire. E poiché le vendite andavano bene, in un solo mese potei acquistare la lana per i materassi ed i cuscini, spendendo oltre cento lire, vale a dire l'importo di una mensilità. Ed a poco a poco la casa si arricchiva di nuovi acquisti indispensabili.
Qualche anno dopo il nostro arrivo in Ancona, il caro pastore Friggiero fu trasferito (non ricordo bene dove), e sostituito dal Dor. Cav. Antonio Beltrami. Affittò un appartamento vicino al nostro, e così potevamo vederci tutti i giorni.
Anche con lui e la sua brava signora Virginia, stringemmo una più stretta e salda amicizia, che è durata per tutta la loro vita, senza mai offuscarsi.
Pertanto il nostro Pierino compiuti i sei anni, cominciò ad andare a scuola, ed imparava presto la sua lezione giornaliera.
Col signor Beltrami, la Comunità si trovò altrettanto bene quanto lo era stata con i signori Friggero. La signora Virginia era molto attiva, specie per la scuola Domenicale e per le feste della madre e dell' Albero di Natale. […]

Intanto mio suocero stanco dell'impiego di colportore si era licenziato definitivamente, ed il campo di Bari era rimasto vacante.
D'accordo con Irene chiesi alla società di coprire il posto di Bari, e me l'accordò. Incaricai i miei parenti di là di affittarmi un appartamentino, possibilmente vicino al loro, e difatti lo trovarono ad un prezzo conveniente. Cominciai i preparativi per il trasferimento, imballando le suppellettili e predisponendo il relativo programma. Si era verso la fine di maggio del 1913. In Italia serpeggiavano gli scioperi e dei torbidi si verificavano un po' ovunque.
Nel pomeriggio della prima domenica di Giugno festa dello statuto, nella piazza Roma in Ancona suonava il concerto musicale cittadino. Il tempo era cattivo, scrosci d'acqua cadevano improvvisi ed il Concerto era costretto a tacere. Non ricordo con precisione cosa avvenne ad un tratto improvvisamente. Ricordo solo che scoppiò un tumulto indiavolato, che i musicanti abbandonarono la piazza e se ne fuggirono suscitando un fuggi fuggi generale. Non si seppe da parte di chi, ma da tempo era ritornato in Ancona, il famigerato anarchico Enrico Malatesta, il quale prese viva parte alla sommossa, proclamando lo sciopero ad oltranza senza un motivo chiaro, e sin da quell'ora incominciò quella che fu chiamata la settimana Rossa. Nella mattina del lunedì cominciò lo scasso e lo svaligiamento dei negozi principali… stoffe, confezioni, scarpe, alimentari, tutto veniva asportato dai negozi sventrati. Non era una rivolta, ma un saccheggio disgustoso e nauseante il vedere quella gente scatenata portarsi via trionfalmente la roba rubata.
Alcuni furbi negozianti davano spontaneamente le chiavi dei loro negozi ai caporioni della rivolta e, sottomano, una buona somma, avendo così salva la merce ed il negozio. Non si vedeva né un carabiniere né un poliziotto, né soldati, né vigili, perché le notizie si susseguivano sempre più allarmanti di sommosse in ogni singolo paesetto delle Marche. I ribelli o rivoluzionari non si conoscevano, i comunisti, che dominavano la popolazione e la costringevano ad ubbidire, avevano stabilito dei posti di blocco e non si poteva andare neppure alla stazione ferroviaria per prendere qualche treno, per allontanarsi da quella baraonda.

grassi02 Ministerio Svizzero- Basilese
Il mio ministerio basilese cominciò con un atto di autorità. Il pr. Dezoppa aveva riunito il Consiglio di Chiesa, per la sera dopo l'arrivo del pastore. Non conoscendo ancora l'ubicazione della località dove si tenevano le riunioni, venne lui stesso a rilevarmi ed accompagnarmi. Erano presenti quattro consiglieri. Dopo i convenevoli d'uso e la presentazione del nuovo operaio, ci sedemmo, ed io, dopo una preghiera ed un breve messaggio, dichiarai aperta la seduta. Fungeva da segretario il Dezoppa. Naturalmente, non essendoci alcun ordine del giorno, né programma da svolgere, né verbale da leggere, chiesi ad ognuno di esprimere quello che meglio credeva essere utile allo sviluppo della Comunità, data la loro esperienza e conoscenza, appartenendovi da lunghi anni. Li vedevo poco espansivi, anzi taciturni e turbati. Ad un tratto si alzò il pr. Barriero, il più anziano, e mi porse una lettera aperta. La presi e la lessi; era una lettera di dimissioni da consigliere. Dopo si alza un secondo, il pr. Quercioli e me ne dette un'altra; era dello stesso tenore: dimissioni.
Poiché gli altri due non si mossero, chiesi al Barriero il motivo delle sue dimissioni. Confuso e riluttante, taceva, ma io insistetti ed allora mi rispose: Perché il pr. Quercioli mi ha dato dello stupido! Chiesi all'altro dimissionario il suo motivo, rispose che il pr. Barriero l'aveva offeso chiamandolo spia del Consolato Italiano. Chiesi al pr. Barriero: Vi ha dato soltanto dello stupido? -Si- Vi ha percosso? -No!- Vi ha sputato in faccia? No, ma se si fosse provato! Da quanti anni fate parte della comunità? Da molti; non ricordo esattamente. Ed infine, cosa avete appreso in tutti questi anni sull'insegnamento dell'evangelo? E rivoltomi al Quercioli gli feci su per giù le stesse domande. Anche lui era un vecchio membro della Comunità, o società, come la chiamavano. Allora, in presenza di quell'ignoranza religiosa, proruppi indignato. E non vi vergognate di chiamarvi cristiani, ed evangelici? E siete membri del Consiglio, per giunta? Gesù, che sulla croce è stato crocifisso, vittima innocente dei nostri peccati, e che esalando il suo respiro invocava dal padre il perdono dei peccatori, vale a dire dei suoi crocifissori, cosa deve pensare di voi sedicenti suoi discepoli, che non sopportate cristianamente una parola offensiva? Vi do sino a domenica mattina il tempo per ripensarci sulle vostre decisioni, e poi prenderò le mie al riguardo. Tenete per voi le lettere di dimissioni, e, se lo riterrete ancora, me le darete Domenica dopo il culto.
Azzittirono allibiti. Non avevano mai inteso un servitore del signore, riprenderli così apertamente.
Chiusi la seduta e li licenziai. I due dimissionari se ne andarono i primi frustrati, mentre gli altri commentavano: È venuto proprio quello che ci voleva! Le dimissioni non le presentarono più, ed io non dissi più nulla, ma la lezione produsse il suo effetto.
Il locale di culto era ubicato in una stradetta della piccola Basilea, ed era una specie di garage abbandonato. Era una baracca di mattoni e legno, piuttosto lercio e gelido.

Ministerio Zurighese
Arrivammo a Zurigo e ci installammo nel nostro umido appartamento a pianoterra della Cappella in via Cramerstrasse 13, la quale era assai vasta, ma in alto al primo piano. Tutto l'edificio era isolato, e solo l'ingresso dava sulla Cramerstrasse; gli altri lati erano circondati dal giardino. La metà della casa a pianterreno, toltone l'ingresso e la scala, serviva da abitazione al pastore, l'altra metà serviva da sala di culto e di riunioni per la Comunità Italiana. Tra l'ingresso e la casa c'erano i gabinetti di decenza.
Tutto era vecchio e trasandato, le pareti interne delle camere erano coperte di legno per eliminare l'umidità, ma dietro i pannelli vi erno annidate migliaia di formiche alate, ed altri insetti della stessa natura, che uscivano a stormi dagli interstizi dei pannelli e da quelli degli infissi delle porte e delle finestre. L'impianto del gas era logoro, ed in qualche parte i tubi erano bucherellati. La stessa sera del nostro arrivo, dopo aver messo alla meglio la mobilia, accendemmo la luce. Lungo il corridoio in cui passavano i tubi del gas, vidi delle fiammelle attorno ai tubi. Pensai a qualche fuga, e cercai di smorzarle con uno straccio bagnato. Ma vedendo che le fiammelle si moltiplicavano, e temendo qualche pericolo, corsi al più vicino posto dei vigili urbani, ed in francese e con la mimica spiegai che cosa succedeva nell'abitazione della Cappella della Cramerstrasse. Mi dissero di chiudere il contatore, ma perché io non sapevo dove si trovava, corse un vigile, e sceso in cantina lo trovò e lo chiuse immediatamente. Le fiammelle si spensero. Il vigile guardò i tubi; questi distavano un mezzo metro dal soffitto del corridoio. Mi raccomandò di telefonare al mattino all'officina del gas, per fare riparare subito i guasti, aggiungendo che se non me ne fossi accorto, non appena l'intercapedine tra il soffitto del corridoio ed il sovrastante pavimento, che funzionava da camera d'aria, avrebbe potuto far saltare tutto l'edificio. La mattina, infatti, telefonai all'officina – il telefono era in casa- e subito vennero gli operai che confermarono il giudizio del vigile, che cioè avevamo corso un grave pericolo. Ecco, pensammo con Irene, un'altra testimonianza dell'amore dell'Eterno verso di noi!
L'appartamento era quanto mai triste ed Irene ne soffriva molto. La mattina, aprendo il portone d'ingresso, mi accorsi che una tabella di vetro spesso, nero, attaccata al muro, sulla quale c'erano segnati gli orari del culto, e per le varie attività, per vandalismo era stata frantumata. Si suppose che era stato Romano l'ex predicatore, per vendicarsi del licenziamento. Ed io cosa c'entravo?
E non sapeva forse che io vi ero andato malvolentieri? Ed allora vendetta contro la Comunità?
Può darsi, sapendo che la Comunità lo disprezzava. Ma in tal caso, cosa c'entravo io?

Ministerio Abruzzese
Villa S. Sebastiano è una frazione Tagliacozzo (L'Aquila) dal quale dista 8 chilometri; conta meno di 1500 abitanti, ed è situata in una conca ai piedi del monte Orunzo. Per tutti gli atti civili e giudiziari bisogna andare a Tagliacozzo, oppure ad Avezzano distante 11 chilometri. È un paese eminentemente agricolo, e la coltivazione più redditizia è quella della barbabietola da zucchero che viene utilizzata dallo zuccherificio di Avezzano, il grano, il granturco ed i leguminacei, patate ecc.
C'è un medico ma non la farmacia, rari sono i negozi semivuoti, perché tutti vanno a rifornirsi il giovedì a Tagliacozzo - giorno di mercato, ed il sabato in quello più abbondante di Avezzano.
I villesi, fanno il pane in casa e la maggior parte mescolato con la farina di granturco. I pani pesano da 2 a 4 chili l'uno, e la cottura al forno vien pagata in pane anziché in danaro, a seconda del peso complessivo del pane cotto. I fornai poi lo rivendono a chi non lo fa, o non può farlo, per altre ragioni: malattia, o miseria ecc.
Vi sono anche molte pecore, ma la maggior parte delle famiglie ha una o più vacche per il latte che ogni mattina viene a ritirarlo un carro che lo porta ad Avezzano.
Gli artigiani sono pochi, e tutti gli altri sono contadini o pastori. Anche noi dovevamo comperare il pane al forno, ma Irene non lo digeriva per il granturco, ed io dovevo consumarlo cotto, quando diveniva come un sasso. Bisognava quindi andare a Tagliacozzo, a piedi sino alla fermata del treno, e poi col treno, e così al ritorno, con l'aggiunta del peso delle provviste acquistate per diversi giorni.
C'era un vecchio camion, adattato a corriera che da un paesello lontano 6 km: Curcumello, scendeva a Villa per andare a Tagliacozzo per poi risalirvi, ma aveva una sola corsa in coincidenza con una coppia di treni da Roma a Pescara, e viceversa, e quindi non utilizzabile almeno per il ritorno a casa con le provviste. Per il latte lo comperavo dal pr Pietro Pensa e per lo zucchero mi facevo fare i buoni dal medico, dietro compenso; per le patate, i legumi ecc. me le regalavano in abbondanza i membri della Comunità. Sovente mi regalavano anche qualche pagnotta di pane, ma lo dovevo consumare cotto per non sprecarlo. Di frutta non c'erano che le mandorle sul monte Orunzo, ma i ragazzi le rubavano prima della maturazione. Di fichi, di uva, di altra frutta non ce n'era e bisognava acquistarla nei mercati suddetti.
Per andare e venire dai detti paesi, Carrari aveva una bicicletta di proprietà dell'Amministrazione di Roma della quale si servivano anche i parrocchiani, chiedendola in prestito, ed ai quali non si poteva negare, ma finirono per guastarla e buttarla nel magazzino che serviva a mettere la legna.
Eppure proprio la sera che arrivarono i mobili e feci depositare gli imballaggi, la rubarono. Essendo proprietà di Roma dovetti avvertire i Carabinieri, che venivano per servizio in giorni alterni da Tagliacozzo, ma non si trovò nulla. A me non avrebbe servito anche se fosse stata utilizzabile, perché non sapevo usarla, e quindi dovevano servirsene gli altri, quindi non vi feci caso, solo avvertì Roma, per eventuali responsabilità.


Salvatore Grassi
"Storia della mia vita"
autobiografia 1890-1963

notizie e schede
il commento del lettore

 
 
Privacy Policy