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(Isola Vicentina VI - Croazia, 1944) L'isola nuda memoria 1946-1956
Guidata da un padre idealista e rivoluzionario, una giovane famiglia lascia l'Italia per trasferirsi nella Jugoslavia di Tito, terra del socialismo reale. Però, quando si deteriorano i rapporti con l'Unione Sovietica di Stalin, l'uomo viene imprigionato per quattro anni nell'isola di Goli Otok, con l'accusa infondata d'essere una spia di Mosca. La moglie e la figlia - l'autrice del testo, allora bambina - si trovano isolate, e accusate anch'esse come "nemiche del popolo". A distanza di anni, la figlia racconta questo calvario di efferata e brutalissima violenza. |
Era una giornata fredda, i tetti erano bianchi. Quella notte era caduta la neve. Io stavo seduta accanto al suo letto e guardavo il suo bel viso pallido e scarno. I suoi occhi erano socchiusi e il suo respiro era ormai lento e affaticato. Le presi la mano e gliela strinsi forte, tanto da pensare di averle fatto male. Lei, mia madre, non disse nulla, ma mise l'altra sua mano sopra la mia, come per farmi coraggio, come se volesse aiutarmi a sopportare i tristi momenti che precedevano il suo viaggio verso l'eternità. Ed io mi sentii stringere il cuore. Era quella sua mano un po' tremante che, come quando ero bambina, mi rassicurava che tutto sarebbe andato bene, anche se eravamo noi due sole a combattere tutte le avversità che si sovrastavano sulla nostra vita. E proprio il racconto di quella vita, fattomi da lei nelle fredde sere d'inverno, invase i miei pensieri. La vidi come tantissimi anni fa, con me bambina di due anni, lasciava la casa paterna per seguire mio padre in una terra non lontana, ma per lei straniera e sconosciuta - la Jugoslavia. Era l'anno 1946, la guerra era finita, ma la pace nella Zona B era ancora precaria. Mio padre aveva lasciato l'Italia, precisamente Monfalcone, dove nel cantiere aveva già un lavoro, per andare a vivere a Lussimpiccolo (Mali Losinj-ex Jugoslvia). Lì era nato e lì aveva trascorso la sua infanzia e la sua adolescenza. Quando suo padre morì, aveva soltanto quattordici anni. La famiglia, che era numerosa, si trovò in grande difficoltà e miseria. La lotta quotidiana per la sopravvivenza era ormai fatto consueto. La fame, le umiliazioni, le ingiustizie e lo sfruttamento da parte di coloro che avevano tutto in abbondanza portarono mio padre, dal cuore puro e nobile, ad interessarsi a quella dottrina politica, a quel pensiero socialista che avrebbe unito tutti i popoli nella lotta per l'uguaglianza e per il benessere dell'umanità. Lasciò Lussimpiccolo appena diciottenne. Per lunghi anni fece il marinaio e vagabondò per il mondo. Nonostante ciò, non rinunciò mai ad approfondire tutto quello che trattava l'idea marxista. Era un autodidatta. Capì che la Russia, il cui nome era risuonato oltre i mari, sarebbe stato il paese dei suoi sogni. Ritornò in Italia al principio della guerra. Conosciuta mia madre a Roma, in casa di sua sorella la sposò. Dopo un anno, in un paesino vicino a Vicenza, nacqui io. Mio padre volle darmi il nome russo di S. Questo era il primo segno di affetto e di dedizione alla Russia. Avrebbe voluto tanto poter andarci a vivere. Ma la Russia era troppo lontana e per mia madre troppo oscura e misteriosa. "Allora perché non andare a vivere al paese natio, Lussimpiccolo, che è il più bel paese del mondo?", pensò mio padre. La Jugoslavia non era lontana. Era l'alleata dell'Unione Sovietica e faceva parte del blocco orientale. Così la grande, incomparabile madre Russia, protettrice di tutti i paesi socialisti, gli sarebbe stata più vicina.
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