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Francesca Pennacchi nata a Marina di Carrara (Massa) nel 1929 Casa in Africa memoria 1937-1942
L'avventura coloniale vissuta da una bambina di otto anni. Cercando di ricostruire lo spirito della sua adolescenza, un'insegnante toscana ricorda i quattro anni trascorsi in Africa Orientale quando parte con la madre e la sorella dalla Toscana per raggiungere il padre in Etiopia. Lui sarà richiamato in guerra e loro tre affronteranno i disagi di un lungo viaggio fino alla prigionia sotto gli inglesi, prima del rimpatrio. La scoperta dei colori e il fascino di una terra misteriosa segnano il passaggio verso la maturità.
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"Alzati, è ora! Il treno non ci aspetta!" La mano leggera della mamma mi scuote con dolcezza e le parole mi arrivano sussurrate… ho ancora tanto sonno, e sotto le coperte si sta bene, al caldo, complice del sonno… il treno… non sono mai stata su un treno… forse sto sognando… ma improvvisamente mi viene in mente tutto: dobbiamo partire per un paese lontanissimo, misterioso per me: l'Africa! Ma anche il treno è già per me qualcosa di straordinario, perché io non sono mai stata su quel mostro rumoroso che ho visto spesso passare sul ponte che ad Avena sormonta il grande viale alberato, unica linea di unione tra Carrara Avenza e Marina; passa scuro lungo ed urlante e, ogni volta che l'ho visto correre via, ha portato i miei pensieri oltre le montagne, le mie bellissime montagne bianche di marmo, confini del mio mondo. Salto giù dal letto con la sensazione di essermi svegliata ad una nuova vita. Mi hanno detto che il treno mi porterà a Livorno, dove mi aspetta una grande nave, così grande che neppure riesco ad immaginare, e che la nave mi porterà via… "via"... questa parola mi fa provare un certo malessere, ma si unisce anche all'immagine del babbo che mi aspetta in quella terra lontana. Il babbo... quanto tempo è passato da quando mi sentivo felice perché posava la sua grande mano sulla mia testa, mi sembrava volesse dirmi: "Non devi avere paura di nulla, sono qua io". Sono passati tre anni e la sua immagine è come sfocata nella mia memoria; ora riesco a vedere soltanto i suoi occhi chiari o il suo sorriso, ma tutta la sua figura mi sfugge. E' ancora buio fuori eppure i miei cugini sono già alzati, persino Marisa che nessuno riesce mai a svegliare se non buttandola a forza giù dal letto, anche gli zii ed i nonni sono già in piedi, ma non c'è aria di festa, sembra che nessuno sappia cosa dire ed allora chi prende una valigia, chi guarda se ci sono ancora dei vestiti da mettere a posto e chi sta in un angolo come il nonno, senza far nulla. Io e mia sorella siamo vestite tutte di nuovo; con le calzine bianche ricamate dalla mamma a fiorellini rosa ed azzurri, le scarpe di vernice lucidissima ed un bel fiocco nei capelli, che, strano a dirsi, Miriam non si toglie come è solita fare. Ci si guarda tutti in silenzio per un po', sembra che non si sappia che cosa dirci, poi mi ritrovo tra le braccia dell'uno e dell'altro che mi tengono stretta stretta; particolarmente lungo è l'abbraccio della nonna, che sembra non voler finire e nel quale vorrei restare; ma finisce, e mi accorgo che il caro viso è bagnato di lacrime; sento molto sgomento e mi chiedo: "Vado così lontano? Non ritornerò più?"
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