Vincenzo Rabito Stampa E-mail

Brani scelti

rabito E così, con tanta cioia, doppo 2 ciorne siammo revate a Ferenze, nella bellissima città artistica d'Italia. E, quanto scentiemmo e presemo le strade di Ferenze, tutte li barcona di dove passammo c'era esposta una bantiera trecolore. Poi, c'erino tutte li museche che c'erino a Ferenze, che ci hanno venuto a prenterene alla stanzione, e tutte li crosse auturità di Ferenze. Così, di dove passammo, ci abatievino li mane, mentre paremmo tante stracione, e ci hanno portato alla caserma San Ciorcie. Perché il deposito del 69 reggemento Fanteria aveva che il suo deposito era lì, di quanto aveva che si aveva formato l'Italia.
Io, a Ferenze, l'aveva sempre vista della stanzione ma non dentra la cità, quinte, solo che l'aveva inteso dire che era bellissima. E quinte io, vedento Ferenze, era meglio del congedo, e meglio di stare a Chiaramonte. Perché io aveva stato abitovato a dormire fuora, senza maie conoscire che cosa era un letto, che cosa erino li linzuola e il materazzo, e ora avevo invece una bellissema rite di ferro e una lampadina, nella cammerata, che con la luceletrica si poteva lecere il ciornale. E poi annesuna parte ni aveva luce così, perché a Chiaramonte luce ancora non ci n'era. E io, e tutte, sempre avemmo stato per 30 mese al buio e ni ha parso che ci hanno portato imparadiso.
E così, ci avevino fatto fare il bagno; che erimo tutte incrasciate, piene di terra e di sudure. E io, alla prima notata, disse: «Non voglio penzare più annesuno, perché mi trovo nelle felicetà».
Per 3 ciorne ci hanno portato il cafè in branta senza direce: «Alzative!» Alla sera, per 3 ciorne, quanto volemmo riantrare, riantrammo. Apello per noi, per 3 ciorne, non ci n'era. Quinte, alla sera tutte liciammo il ciornale e ci quardammo in faccia e diciammo che erimo dalla stalla alle stelle, e tutte diciammo la stessa cosa: «Questo paradiso, di dove ni ha venuto?» E tutte diciammo: «Questa ene la vera bella vita…»
E così, in uno mese di questa bella vita, antiammo a caminata tutte li sere ceranto Ferenze Ferenze, che tutte li casine di Ferenze ni li stapemmo imparanto, che io ni aveva cirato tante: a Catania, a Palermo, a Siraqusa, e tante altre, ma, de fronte alli casine di Ferenze, tutte facevino schifo. C'era tanta pulezia, li parete, voldire dentra li casine, erino tutte di toletta, che quanto ni vedeva una ragazza pare che ne guardava 6, con quelle spechie che c'erino.
La prima ciornata che io prese servizio in compagnia, di quantave che avemmo venuto a Ferenze, mi hanno mantato di quardia fissa per 20 ciorne al carcere delle Morate. Che questo carcero si trova in mienzo alla città, e la consegna di questo carcero era che tutte i passante di quella strada dove io faceva a la quardia era che non zi dovevino fermare. Perché tutte queste detenute di questo carcero erino detenute politece e tutte quelle che passavino dovevino passare senza fermarese, perché la leggie – che erimo i soldate – teniemmo paura che scrivessero qualche beglieto, e poteva socedere una revolozione.
Quinte, recordo che era aprele del 1920. Ferenze era tutta la cità socialista e comunista. Solo li ricche non erino socialiste, e quelle che non avevino fatto la querra. Ma poi tutte erino revolozienarie, perché la Russia aveva fatto la revolozione doppo la querra e l'Italia la voleva fare magare. Quinte, a Firenze di mese e mese si aspetava che nel munecipio si ci doveva mettere la bantiera rossa.
Io certo, a fare per 20 ciorne la quardia, alle borchese che erino vicino dove faceva la quardia io (che erino tutte socialiste, femmene e uomine) mi ci aveva fatto amico, perché era più socialista di loro. Perché io e mio padre e mio nonno erimo di razza e di natura con il cuore di socialista, e quinte io, a forma di soldato, mi piacevino che avessero acopato il munecipio e io mi ci avesse trovato apresso.
Io aveva 21 anno, più meglio di me per scherzare con le segnorine del popolo basso, che erino socialiste, c'era magare io.
Poi, per mantenire l'ordene publico, invece di custura, avevino fatto il colpo della Reggia Quardia, che l'aveva fatto il coverno propia per potere fermare i sociale comuniste. E li borchese, quanto passavino della strada, li babiavino a questa Reggia Quardia, perché era contraria a queste che da un ciorno all'altro dovevino ocupare il monicipio. E quinte, quanto queste borchese vedevino passare li soldate della Reggia Quardia, si metevino a ridere, e io, a forma di soldato che li doveva remproverare, invece mi ci miteva a ridere, perché li più assaie erino donne che erino acanite e vere socialiste, più delle uomine, e amme mi piacevino sempre queste scenate e queste resate che ci facevino a queste Reggia Quardia. E i borghesi se ne priaveno, che io ci aveva dato a capire che era socialista come erino loro; solo che io era soldato e non poteva cantare «Bantiera rossa». Ma loro erino una camurria, sempre cantanno «Bantiera rossa»... Io era soldato, e mi diverteva a mettere fuoco dicento: «Quanto mi piace il socialista…»
Poi che era tempo di prima vera, che tutte stavino sedute fuore, e io era felice, sempre parlanno con donne e con signorine. Perché io era caruso, e quanto uno è caruso tutte ci danno compedenza, però sempre quelle del popolino. E io, quella quardia, mi pareva un cioco. Ma io cercava sempre una ocasione per fareme ponire, perché li cazze mieie non mi le faceva maie... Che, questa, l'ho voluto io, per essere umpoco strafotente, che propia davante alla callitta dove io faceva il servizio di sentenella si ha trovato a passare un maresciallo della Reggia Quardia con la sua fidanzata, tanto mafiuso e che si credeva un cenerale, perché era a fianco alla sua ragazza.
E questo maresciallo, sotta li fenestre dei detenute, si ha fermato e cominciavo a fare segnale con le mano, dove io era costretto a direce che qui non si poteva stare. E il maresciallo mi quardavo e forse mi voleva dire: «Che, non lo vedi che sono unmaresciallo?» E poi che c'era la ragazza ci ha parso brutto, e piano piano si n'antò. E all'altra fenestra, un'altra volta si ha fermato, che io con una resata e una babiata (era tra la luce e il buio, che il sole cià era tramontato) ci ho detto: – Ou! Provessore, vedete ca lì non zi pole stare. Così, a quella parola di smarco, «provessore», si ofese maledettamente e... parte di corsa, va al colpo di quardia, che c'era il maresciallo che comantava queste sentenelle. Così, subito subito, viene il maresciallo che comantava amme e mi ha detto: – Rabito, smonta, dacie la conzegna a questo e tu viene al corpo di quardia.
E così, mi hanno portato di fronte al maresciallo della Quardia, che era pieno di veleno contra di me, che era io soldato e lui maresciallo (e un tenente della custura c'era, perché ci aveva lue telefonato). Certo che, di fronte al tenente della custura e di fronte al maresciallo, io era niente, però era bene preparato, che paura non ni aveva.
Il tenente della quistura mi ha messo sol'atente e mi ha detto: – Quanto haie che faie lu soldato? – E io ci ho resposto che era del 99.
E così, parlavo il maresciallo de fronte al tenente: – Ora ti arrancio io. Ti faccio fare lo revolezionario inziemme con i tuoie amice borchese a sfottere al tuo soperaiure! che ti dovesseto vercognare a dessere italiano! lo faccio conoscire bene al tuo soperaiure! ti faccio dire «provisure»! ti faccio vedere se mi deve sfottere inziemme ai tuoi compagni comuniste! io lo so che sei siciliano, che li siciliane, quanto vogliono sfotere, basta a dire: «Provesore, baciammo li mano»! (Mentre il tenente rideva). Perché io lo so, che ho fatto il pricatiere dai carabiniere 8 anne in Sicilia, a Palermo, e li conoscio bene ai siciliane! – Così, mi ha detto: – Ora ti manterò in calera! E io ci deceva: – Maresciallo, lei si sbaglia. Io ci ho detto «provessore» per usarece più cortesia, non per sfottere, come dici leie.
Ma lui sempre diceva che mi doveva mantare in calera. Così, io mi sono rabiato e ci ho detto: – Quello che vuole, fa. Io, esento in servizio, esento di sentenella, esento di notte, non conoscio neanche a uno che macare fosse cenerale! Io, per despettare la mia consegna, non conoscio annesuno. Magare ci posso sparare, perché mi sento uno soldato e voglio respettare l'ordene che mi danno i mieie superaiure. Quinte io, alleie, maresciallo, ci poteva magare sparare, perché, di doppo che tramonta il sole, non conoscio annesono. E quinte, anze, a direce «provessore, si n'antasse», perché mi pareva che fosse uno crosso borchese con la sua donna a passeggio, mi deve rencraziare che non ci sparaie. Perché io ho stato imprima linia montato di vedetta e capiscio che cosa voli dire il dovere che devo fare il soldato in querra, mentre leie querra non ha fatto, perché campagna di querra nel petto non ci n'ave, e io, invece, ci l'ho... Che leie dice che facio schifo a essere nell'esercito italiane! E così, il maresciallo e il tenente si n'antaro e il povero Rabito Vincenzo, quella sera, passaie alla pricione.

Ma, all'endomane, mi recordo beni l'attema che venne il mio sercente e mi dice: – Rabito, deve antare nel nostro comantante di recemento che ti vuole parlare. E mi sono apresentato al mio colonello, che, come mi ha visto, m'ha conosciuto subito. Così, io ci ho detto: – Signore colonello, se mi dovessero fare fare servizio un'altra volta, la consegna non la respettasse più, dato che un soldato come me, per fare il suo dovere, lo manteno in calera. Così, come mi ha intesa parlare, mi ha batuto la spalla, il bravo colonello. Così, mi ha detto: – Coraggio, Rabito, che ti la stai cavanto bene! E quinte, fui molto fortonatissimo, perché poteva fenire in calera, se il mio foglio matricolare non era a posto e se il bravo colonello non mi aiutava...

Manefestazione di revolozione ci n'erino tutte i ciorne. E quinte, tutti i soldate erimo tutte li notte di pechetto armato; speciarmente noi ciovene, il fucile, non lo lasciammo maie.
Poi, facemmo sempre servizio nel centro della cità, sempre a Palazzo Vechio, sempre a piazza Signoria, sempre il fucile carreco come tiempo di querra, perché li comuniste volevino acupare il palazzo, che lì c'erino tutte l'oficie del coverno. Perché li Quardie Rosse erino più forte della Reggia Quardia, e queste Cuardie Rosse erino quidate dello onorevole Ciacomo Mattiotte, che in tutta la Romagna aveva stato capace di ocupare più di 60 comune, che ci aveva fatto mettere la bantiera rossa.
Poie, recordo che tutte li ciornale portavino che in uno paese della Romagna c'era stato il ciovene ciornaliste Benito Mossoline che antava ciranto, che nei comune invece ci voleva fare mettere la bantiera nera fascista; quinte antava ciranto con i ciovene fasciste e di dove passavino bruciavino tutto e facevino propaganta contra a Matiotte. Quinte, la revolozione era vicino.
Poi, una notte amMosolina l'avevino filiato dove era, e cià lo stavino prentento per ammazarlo, ma non l'hanno pututo prentere, perché grazie al capo stanzione di quello paese, a un certo Farenaccie, che l'ha nascosto dentra il bagagliaio, e non l'hanno pututo prentere, li sociale cumuneste.
E poi, Mussoline, quanto fece la revolozione e deventò capo del coverno, per recompenzo l'ha fatto menistro, a questo capo stanzione che ci ha salvato la vita.
E così, Ferenze, di uno momento al'altro, si poteva trovare tutto con li bantiere rosse ed eremo pericolose lo stesso come quanto doveva scopiare una querra. E così, noi soldate stiammo dentra il Palazzo Vechio, che dovemmo defentere questo palazzo, che se venevino li comuniste a metterece la bantiera rossa ci dobiammo sparare, e se venevino li ciovene fasciste a meterece la bantiera nera fascista ci dobiammo sparare pure. Quinte, erimo imienzo 2 revolozione.
Ma a Ferenze questo non poteva venire maie, di acupare il municipio, perché, compure che tutta la popolazione era socialista – e magare soldate ci n'erimo tante socialista, comincianto di me e che era capace di antare in favore ai demostrante –, ma non si poteva fare niente, perché forza publica ci n'era assai assaie, perché nelle crante oficie e speciarmente nel palazzo del coverno c'erino migliaia e migliaia di Quardie Reggie con mitragliatrice messe piazate nelle barcone e pontate contra i demostrante.
E inzamaie davero queste sociale comuniste volessero prentere il municipio, che lo sa quanto muorte e ferite ci dovevino essere!
Ma per noi soldate potevino acupare quello che volevino, perché avemmo fatto la querra e a tutte quelle che erino state congedate non ci avevino dato niente, e desocopate erino, e quelle che non avevino fatto né querra e niente erino tutte messe aposto, perché la lecie desonesta che facevino era quella: tutte avevino rechito, che non aveva fatto la querra, e li fessa erimo noie che abiammo fatto la querra.

Una notte, mi recordo che erimo di pechezzo dentra il Palazzo Vechio e dovemmo stare sempre con li cermenne messe, e li scarpe neanche ni potemmo levare, e neanche potemmo dormire. Così, avemmo precorato un mazzo di carte e ci passammo il tempo, per non dormire, e ciocammo al Sette e menzo. E c'era un sercente che prima ni faceva mettere li carte sul tavolo, poi tutte mettemmo fuore li solde per ciucare, e questo mulo bastarddo veneva e si prenteva tutte li solde, e li carte ci strapava.
Così, alla 3 volta, presemo 2 coperte, allo scopo che, se avesse venuto un'altra volta, tutte di acordio ci metiemmo queste 2 coperte sopera la testa, lo butammo per terra e lo prentemmo a bastunate, a questo desonesto sercente, che era una specolazione che annoi ci stapeva fotenno tutte li solde! E davero così fu, che tutto quello che avemmo procetato ci arioscio. Che venne il sercente e lo presemo a pedate, che lo lasciammo mità morto e mità vivo. Così, non zi ha pututo alzare.
Poi che c'era tanta confosione, e poi che in quello momento propia assonato magare la larme, che per noi fu una crante fortuna... E il sercente che cridava... E subito hanno venuto tante di quelle Quardie Reggie che non si ha pututo capire che ene che aveva dato tante pedate, tante pugna e tante muzicuna al sercente! Poi hanno venuto magare tante oficiale di quelle del nostro reggemento e volevino sapere come aveva stato, e nesuno sapeva niente. E tanta composione che c'era, ci abiammo fatto credere che avevino stato li sociale comuniste che avevino dato tante bastunate al sercente... Che, con quello allarme che ci ha stato, per paura, avemmo uscito fuore e quanto siammo entrate abiammo visto il povero sercente bastonato...
Così, venne una barella e l'hanno portato allo spedale impricolo di vita, e noi ni l'abiammo carrecato, e tutte tante dispiaciute e diciammo: «Pecato, che bravo sercente, come l'hanno bastonato queste desoneste Quardie Rosse!»

E poi, secome tutte li famiglie recona di Ferenze, con questo movemento revolozionario che c'era, tenevino paura che di ummomento all'altro entravino queste Quardie Rosse nelle suoi palazze per devastarece tutto e robarece tutto, per paura, antavino alla caserma San Ciorcie e precavino al colonello per darece 4 o 5 soldate bene armate e macare una mitragliatrice per defesa del palazzo. Il colonello ci le dava, però a pagamento, e poi a queste 5 soldate ci dovevano dare ammanciare e tutto quello che ci atocava a uno soldato. Quinte, uno di queste, per fortuna, era io.
E così, in quello palazzo, abiammo trovato il paradiso. Che, facento servizio in quella famiglia, si manciava a tavola, si beveva bene, si fomavino sicarette di lusso, se dormeva bene. E abiammo fatto 40 ciorne di buona e felicissema vita. Poi c'era la cammiriera che aveva 8 anne più di me, che se avesse stato di 21 anne, quanto ni aveva io, di quanto era amorosa e bella, mi l'avesse sposato.
E così, io fece queste 40 ciorne di buona vita e non ni ho fatto più, e in queste 40 ciorne mi aveva dementecato a Francesca che ci scriviammo, e non ci ho scritto più.
Poi, ci hanno mantato a un altre 4 soldate, e mi ha parso molto brutto allasciare quello bello servizio e quella bella cammeriera. E ci hanno fatto antare in caserma e, doppo tanto servizio che avemmo fatto, amme e a li 2 soldate e il caporale ci hanno dato per recompenzo 24 ore di permesso. E quente, doppo che unsciemmo alla matina, con quello permesso potiemmo rientrare alla sera alle ore 24 e magare all'una. Quinte per me fu una rechezza, perché questo permesso lo avevino fatto cominciare dalla mezzanotte e finire alla menzanotte, e ci avevino dato magare per piremio un beglietto franco per il teatro, magare. E recordo che il teatro era il Teatro La Percola, che era lo più meglio teatro di Ferenze. E io disse: «Che bella sodisfacione antare nel più bello teatro di Ferenze».

E poi, alle ore 12, si fenio lo spetacolo e unsciammo per riantrare in caserma e antare a dormire, e poi che il permesso che si aveva fenito. Così, strada facento, c'erino una ventina di ciovenotte che cantavino e facevino bordello, che erino tutte comuniste e cantavino «Bantiera rossa», e io, per compenazione, mi ce sono trovato nel mezzo, e magare li altre 3 soldate, e ni ci abiammo trovato nel menzo e cantammo. Magare, per comincianto da me, mi piaceva di cantare «Bamtiere rossa». E così, cantammo e caminammo. Io mi ho trovato che camminava di un lato della banchina, dove c'erino tante sedute fuore che ci piaceva il fresco, perché era il mese di aqusto. Tutte erino con li ciacchie levate, che sentevino caldo. Così, io cantava, e mi ho visto achiappare per tutte 2 li braccie, decendomi: – Ora ti faccio antare in calere –. Mentre li altre che cantavino e camminavino, come hanno visto che amme mi hanno afferrato emmi hanno portato in una casa vicino, tutte si ni hanno scapato, perché hanno auto paura che amme mi avevino preso qualche capitano della custura. E io ci ho detto: – Che cosa vi ho fatto che mi state facento tanto male a li braccia? – E uno di quelle 2 mi ha detto: – Male le brace niente fosse! E che deve antare in calera, perché seie tu, da suldato, revolozionerio! Vercogna, che soldato italiano!
Così, mi hanno portato nell'altra stanza più dentra. Così, vado per quartare a uno di queste che mi aveva afferato: era il tenente colonello di cavallaria. E il suo atendente, forse perché io era soldato, così mi ha detto: – Ora mi dice chi sono li tuoi compagni che cantavino «Bantiera rossa» o che altremente ti arrancie. Che prima ti faccio mentere in galera del tuo comantante e poi, tutte queste soldate che siate comuniste, io vi farò spedire per la Cerenaica, che lì avete da fare con i rebelle nechire.
Così, questo tenente colonello, vedente che stava comincianto a piangere, mi ha detto: – Rabito, se te vuoi librare di questa crante ponezione, lo saie tu che cosa deve fare, se sei furbo... Mi dice che erino li altre che cantavino «Bantiera rossa».
E io ci repeteva sempre che: – Se io l'avesse conosciuto, io a quest'ora ci l'avesse detto. Io sono stato con molta desceplina verso ai superariore, perché, come lei mi ha chiamato, sobito sono venuto, altremente io avesse scapato come hanno scapato li altre. Quinte, leie mi potesse lasciare stare, perché io sono innocente e non cantava.
Così, mi ha tenuto una ora e mi ha detto: – Domane ti la vede con il tuo colonello. Se ti vuole perdonare, ti perdona. Io devo fare il mio raporto che tu cantavi. Lo devo fare –. E mi ammantato fuore a pedate nel culo.
Il colonello Valentino volle sapere tutto il fatto socesso e non mi ammantato neanche imprecione, ma poi doppo 8 ciorne mi ammantato a chiamare e mi ha detto: – Tu sei un vechio mio soldato, e seie stato sempre furbacione e per questa volta saraie perdonato, ma quarda che ti conoscio da 3 anne e non voglio che vaie a fenire in calera, perché tu cantavito de securo «Bantiera rossa», perché il colonello di cavalleria non ene uno buciardo –. Poi mi ha batuto la spalla e mi ha detto: – Coraggio Rabito, che la chilassa del 1899 quanto più presto la concedeno –. E io, a questo colonello Valentine che ha detto questa parola, mi pare che l'avesse detto un santo, tanto era stuffo di fare il soldato. Che aveva più di 4 anne e mezzo che faceva il soldato e aveva fatto tanto servizio che non aveva fatto nesuna congesione, non mi aveva imparato nessuno mistiere.
Io aveva una abitutene in tutte li forrarieie di fareme chiamare non con il nome di Rabito, che era il cognome propia, ma mi faceva chiamare Arrabito. E il motivo era questo: che, quanto in compagnia devedevino manciare opure davino la cinquina, prentevino sempre comencianto della «a», e io che era della «erre» sempre prenteva all'ultimo. Tanto fece che mi ho fatto chiamare Arrabito, e mi chiamavino tutte quase Arrabito Vincenzo. Tanto che nella midaglia c'ene il mio nome e cognome «Arrabito Vincenzo». E quanto devedevino sigarette e cenquina e tante altre cose, io, che era della prima lettera, sempre prenteva dai prime.
Ma questa volta mi ho trovato frecato…

E quinte, venne un ordene che nella città di Ancona ha scoppiato una revolta, e in tutte li cetà d'Italia c'era l'inferno. Ma, però, nella città di Ancona ci fu una vera revolozione, perché si hanno messo di acordio i soldate con li borchese. Ed ecco come forino i fatte: che ad Ancona c'era uno reggemento di bersegliere, quase tutte del 99 (della stessa mia età) e tutte che avevino fatto la querra e avevino fatto 4 anne di soldato, e certo che aspetavino il congedo! E invece del concedo li stavino imparcanto per antare a fare il soldato in Arbenia. E queste brave e malantrine soldate bersegliere non ci volevino antare, poi che sapevino che la nave era pronto nel porto di Ancona. E quinte, tutte hanno detto come dessero nel Piave: «Di qui non si passa» alli austriece, e non passareno. E così hanno detto ad Ancona queste bersagliere tra di loro: «Noi non antiammo in Arbenia, che c'ene la malaria».
E alla sera quardavino il mare, e la nave era pronte per partire. E quinte, hanno preparato il piano come dovevino fare per non partire.
Così, alla sera, come se ne suno antate alla libra uscita, si hanno portato fuore tutte i vestite di bersagliere impiù che avevino, perché d'ogni soldato bersagliere avevano 2 vestite. E così, antavino dalle borchese revolozinarie e ci davino uno vestito per vestirese bersagliere, e li soldate se vestevino di borchese e li borchese deventavino bersagliere. E così, quanto revavo l'orario della retrada, invece di entrare i vero bersagliere, rientravino li farse bersagliere borchese. E così, quella sera, la caserma si arreimpito piena di revolozinarie. E quinte, li soldate che dovevino partire erino più di 1.500, ma li borchese non erino 1.500, erino radopiate. Quinte, erino 3.000, tutte armate. E così, verso li ore 10, quanto il tenente di servizio doveva chiamare la pello per vedere che ancora non zi aveva retrado, queste revolozinarie, per il primo, hanno preso al tenente e il sercente e tutte li soldate che facevino li sentenelle, ci hanno tapato la bocca, li hanno portato imprecione e hanno fatto uscire a tutte li pricioniere. E così, la quardia, la facevino li borchese che erino i finte bersegliere, mentre i vero bersagliere erino fuore con la sua donna. E così, nella caserma, tutte li demostrante si hanno armato come meglio potevino: perché, nella caserma, arme ce n'erino tante, e assaie mitraglie, magare c'erino tanta monezione della querra e poi che c'erino tutte li arme che si dovevino portare in Arbania. E queste arme l'hanno portato fuore.
E così, Ancona si ha trovato tutta ammano dei sociale comuniste. Che il coverno italiano non era più padrone della cità di Ancona. Magare tutte li nave che c'erino nel porto erino tutte con li bantiere rosse. Il municipio era tutto rosso. Certo che tutte queste finte bersagliere erino tutte echise soldata che avevino fatto la querra e sapevino bene sparare. E quinte, soldate e borchese erino tutte uno.
E così, l'ordene che venne, non a Ferenze solo, ma per tutte li cità vicino Ancona, fu per antarece soldate a compattere in questa città di Ancona.
E quinte, queste soldate che ci dovevino antare, li prentevino della prima lettera dell'ordine alfabetico e fenevino nella lettra della «emme». Quinte io, per mia mala sfortuna, mi hanno chiamato il primo!
Ed era per questo che la mia brutta vita era sempre arrabiata, perché sempre penzava di fareme bello e invece mi faceva tanto male, perché era nato per bistimiare sempre.


Vincenzo Rabito
"Terra Matta"
autobiografia 1899-1970
per gentile concessione dell'editore Einaudi

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