Gervasio Innocenti Con i piedi nel vuoto Giorni lenti accanto a mio padre I diari di Pieve, Terre di mezzo, 2022
“Come si comincia a scrivere?” Gervasio Innocenti se lo chiede da subito, già nella terza pagina. Ha appena comprato carta e penna e si sente baciato dalla musa ispiratrice. Solo due pagine prima aveva detto che il tempo è prezioso e preferiva viverlo piuttosto che perderlo ad appuntare i suoi ricordi. Qualcosa, però, gli ha fatto cambiare idea. Inizia a scrivere a ruota libera: racconta il matrimonio del figlio, un sogno che lo vede fra i monti dell’Appennino, alcuni ricordi di Pio, suo padre, e le foto messe in fila nelle loro cornici scintillanti. Forse non ha nemmeno idea del perché ha iniziato. Si siede su un divano piccolo e riporta quello che vede, quello che gli torna in mente. È successo anche a me. Ho iniziato a tenere un diario perché tirare fuori è un modo per prendere le distanze dagli avvenimenti, per riuscire a riflettere meglio sulle cose, per guardarle con meno emotività. Da un giorno all’altro, quasi per caso, ho iniziato a scrivere la storia dei miei genitori, delle loro malattie. In quei giorni bui avevo bisogno di ritrovare i punti di riferimento che avevo perso, sentivo il bisogno di ritrovare i miei genitori nei loro racconti. In poche parole: volevo che la loro storia, la nostra storia, fosse di nuovo viva. Gervasio racconta anche di suo padre – il “nonno” – che ha 92 anni e da 17 vive in poltrona per colpa di una paralisi. Lo riporta a un amore giovanile, ai canti del secolo scorso, lo descrive in maniera poetica:“Il nonno sembra un vecchio cerro sul quale è caduto un fulmine ma non è morto e si staglia verso il cielo, in parte con piccole foglie malsane e indurite, e in parte spoglio e scheletrico”. Nelle pagine di Con i piedi nel vuoto Gervasio trascrive i suoi sogni, i suoi viaggi, parla della scuola, del nonno garibaldino, della campagna e della caccia, passione ereditata dal padre. Ci regala foto ricordo della sua vita, la ricompone, si emoziona e ci emoziona, accorgendosi di avere le lacrime agli occhi per qualcosa che pensava perso per sempre. Questo è, alla fine, lo scopo di un diario. La scrittura autobiografica, in questa forma, nella forma del memoir, è uno strumento aperto a tutti, non solo a una cerchia ristretta di scrittori. Potremmo definire Gervasio una persona comune prestata alla scrittura che, con profitto e soddisfazione, riesce a fermare il tempo, riesce a evitare che certe storie possano volare via per sempre, riesce a fare della scrittura uno strumento per conoscersi meglio. [dalla prefazione di Marco Annicchiarico]
Anna De Simone Il sale della vita Storie Italiane, il Mulino, 2022
Anna De Simone arriva al mondo senza essere desiderata, attesa, e nemmeno voluta. Nasce per sbaglio, da due genitori che saranno soltanto biologici. In tutta la sua vita fertile Margherita, detta Cunella – coniglia – è sempre incinta e mai veramente madre. È figlia di altri abbandoni, altre trascuratezze, e non riesce a restituire ai suoi bambini, Anna compresa, ciò che non ha ricevuto. Dei troppi fratelli e sorelle di Anna sopravvivono in parecchi, ma solo per caso o perché molto forti. Alcuni, che bevono il vino al posto del latte mancante, moriranno precocemente di cirrosi. Anna trascorre parte dell’infanzia in un istituto di suore, dove patisce la fame e il freddo, molte le umiliazioni. È orfana di una madre viva, che non conosce l’alfabeto degli affetti e solo poche volte si ricorda di lei. Tuttavia la bambina non è adottabile, lo sentiamo quando origlia un dialogo tra la monaca e una donna interessata: «non te la posso dare questa, voglio questa, non te la posso dare questa, perché a la mamma». La parte restante del tempo Anna la passa in fughe e ritorni a casa, e a otto anni Margherita già la avvia all’unico mestiere possibile, quello di serva presso famiglie più o meno benestanti. Conoscerà precocemente maltrattamenti e molestie, rare volte la compassione di un padrone di casa per la creatura selvatica e spaventata che lei è. A sessant’anni Anna De Simone irrompe senza preamboli nella narrazione della sua storia. Ha perso l’uso della voce e ne trova un’altra, più faticosa ma anche più persistente. Entra nella profondità delle ferite, diretta come un coltello. Non ha pietà di sé, né degli altri, non ha paura di arrivare al pus. La sua vita è una stratificazione di traumi, eppure conserva, a sessant’anni, una curiosità quasi infantile: «voglio vedere come va a finire, finché respiro stò a guardare». La scrittura di Anna è un’eruzione incandescente e magmatica, parla una lingua di scuola negata e violenze subite, una lingua di strada, un po’ romanaccia e un po’ marsicana delle origini. Anna avvince involontariamente chi legge, lo tiene sospeso alla continua domanda: come si può sopravvivere a tutto questo? La risposta che si sente dietro ogni pagina è la più semplice e vera: ciò che non ti uccide ti fortifica. Lo so anch’io, che sono sopravvissuta a molto meno. [dalla prefazione di Donatella Di Pietrantonio]
Come alberi in cammino Storie migranti DiMMi 2021, Terre di mezzo, 2022
Dal 2012 a oggi, i diari multimediali e le scritture di DiMMi hanno fatto affluire nei depositi di Pieve Santo Stefano cinquecento testimonianze autobiografiche, fonte insostituibile di conoscenza della complessa realtà migratoria dell’Italia contemporanea. Il quinto volume DiMMi, al di là delle molte oscurità del momento, permette di gettare luce e dare senso a questo spostarsi lento della società italiana verso maggiori consapevolezze e traguardi che testimoniano, malgrado i ritardi delle istituzioni, la vivacità di un paese crescentemente “mescolo” che parla, scrive e interloquisce come parte attiva della società italiana mentre ricorda le sue ferite e le sue conquiste, i traguardi individuali e collettivi che sono lo specchio delle più grandi aspettative che attraversano la nostra epoca. [dall’avvertenza di Alessandro Triulzi]
I racconti che compongono questo volume ci interpellano direttamente sulle ferite della Storia destinate a esercitare la loro ombra ubiqua e venefica sulle storie del tempo presente. Ma, al contempo, aprono uno squarcio indelebile sugli orizzonti di attesa di uomini e donne in movimento – tra luoghi, culture, identità – che rivelano una capacità di lottare e proiettarsi verso il futuro che noi, probabilmente, abbiamo perduto. “Ricordo che la vita è una serie di battaglie” ci ammonisce Franck Olivier Nogheu “e ogni giorno siamo di fronte a almeno una. Il più importante è sapere come battagliare”. La strada da fare è ancora lunga, indubbiamente, e la “barraquera” – come direbbe una delle nostre autrici – intendendo la forza nell’andare avanti malgrado le difficoltà, necessita di un impegno collettivo. Ma la sfida non può essere trascurata. [dall’introduzione di Monica Massari]
Ho conosciuto il concorso DiMMi per caso cinque anni fa. È una grande opportunità perché i migranti nel nostro Paese possano esprimersi. I racconti di questo libro sono maturi, ci aiutano ad avere una visione della figura del migrante nella sua complessità. Un vissuto comune che ognuno di noi porta con sé ma che allo stesso tempo ci rende unici. Nelle storie di queste pagine ritrovo una ricerca continua della libertà in ogni sua forma, la libertà dei diritti. Il diritto di non essere né bianchi né neri, né ricci né lisci. La complessa battaglia di riconciliare due culture, quella di provenienza e quella dei Paesi di approdo, siamo tutti meticci, figli di culture e lingue che si intrecciano. [dalla postfazione di Elona Aliko]
Furio Aceto La via della libertà Storia di un ufficiale che divenne partigiano Vincitore Premio Pieve 2021 I diari di Pieve, Terre di mezzo, 2022
La via della libertà è, come recita il sottotitolo, la “Storia di un ufficiale che divenne partigiano”. Vi è narrata, con efficace capacità letteraria, e documentata con la precisione di un “rapporto” militare, la vicenda del sottotenente Furio Aceto, “portastendardo” del Reggimento Lancieri di Vittorio Emanuele II, entrato in servizio nel 1942, in uno dei momenti più difficili per quel Regio Esercito a cui apparteneva con orgoglio, e costretto subito dopo, dagli eventi, a scelte drammatiche. Un po’ come il Beppe Fenoglio di Primavera di bellezza, anche Aceto aveva dovuto risalire la penisola su treni di fortuna, sfuggendo alla caccia dei tedeschi, mimetizzandosi tra passeggeri in fuga disordinata anch’essi. E anche lui, come Il partigiano Johnny, aveva attraversato i giorni melmosi della zona grigia, il tempo sospeso di una clandestinità passiva, prima di arruolarsi finalmente. E ritornare a “sentirsi uomo” – scrive ancora Fenoglio – nel mondo riscattato della lotta di Liberazione. La sua è la Resistenza di un ufficiale effettivo, di un militare di carriera che intende restare fedele al giuramento prestato. E che vive la vita del partigiano praticando lo stesso codice di comportamento appreso all’Accademia e alla scuola di Cavalleria, diffidente nei confronti della “politicizzazione” delle bande, sempre rispettoso della dignità umana sia dei propri uomini che del nemico, restando in qualche modo, anche nella forma “irregolare” del “volontario della libertà”, lo stesso “portastendardo” dei Lancieri di Vittorio Emanuele II. La possibilità di accedere ora alle sue “memorie” offre materiale prezioso agli storici e a chi voglia, in questo tempo nuovo e lontano dagli avvenimenti di allora, entrare nel mondo variegato e denso della Resistenza, cogliendo la soggettività dei suoi protagonisti, le differenze spesso assai grandi tra di loro ma nello stesso tempo i tratti di uniformità nella consapevolezza dell’abisso che separava quel microcosmo polifonico che erano le formazioni partigiane dal mondo tetro, mortifero e feroce degli occupanti tedeschi e dei loro complici fascisti. [dalla prefazione di Marco Revelli]
Filippo Maria Battaglia Nonostante tutte Unici, Giulio Einaudi Editore, 2022
In una piccola piazza di un piccolo Comune toscano c’è una porta di legno dogato che è quasi sempre aperta. Oltre quella porta, hanno trovato riparo novemila voci che hanno impiegato anni a rivelarsi. Serrate in un cassetto, rinchiuse in scatole di conserva, disperse tra fogli di eredità familiari trascurate, hanno fatto i conti con l’anonimato della quotidianità fissando su carta speranze e fallimenti, assolvendo il compito di ogni scrittura privata: lasciare traccia di sé attraverso il racconto della propria esistenza. La storia di Nina, la protagonista di questo romanzo, ha preso forma cinque anni fa al varco di quella porta, dietro la quale si schiude l’Archivio diaristico nazionale di Pieve Santo Stefano. La sua voce proviene dai diari, dalle lettere e dalle memorie di centodiciannove donne che hanno attraversato il Novecento con rabbia e ostinazione, a volte con disincanto e rassegnazione. Sono poco più di quattrocento frammenti scelti tra molte migliaia e pieni di nomi, di luoghi, di cose. Arrivano da Nuoro e da Milano, da Napoli e dal Trevigiano, da Palermo e dal Monferrato, da Amantea, da Bolzano e da decine di altre città e di borghi dispersi. La pagina più vecchia fa parte di un quaderno dalla copertina rigida con una foglia di vite in rilievo e la grafia elegante e ordinata, appresa più di un secolo fa sui banchi di una scuola elementare di Ferrara. La più recente, invece, è condensata in cinque righe di un file pdf che si apre con una foto di Firenze e una cornice in bianco e nero. Nina non si ritrae mai di profilo e non riempie il quaderno di grandi parole. Il suo è un autoritratto collettivo fatto di istantanee in cui l’aderenza alla realtà non coincide con il realismo ma con il suono che la voce fa sulla pagina scritta. Segue l’arbitrio della memoria e dell’immaginazione, sovverte il tempo e, grazie ai ricordi di oltre un secolo di vite private, se ne fa gioco. Si imbatte in consuetudini e fulminanti apparizioni, registra strappi, lutti, gioie, privazioni e trova nella scrittura conforto, riscatto e salvazione. Scrivere, per queste centodiciannove donne, ha significato soprattutto questo: portare in salvo se stesse e la propria voce, in una lotta quasi fisica con le parole che non ha ammesso tentativi di revisione calligrafica o di correzione. Ed è a questa urgenza, e alla sua irriducibilità, che è affidata l’autenticità di questa storia. [dall’introduzione di Filippo Maria Battaglia]
Camillo Brezzi e Patrizia Gabrielli La forza delle memorie L'Archivio dei diari di Pieve Santo Stefano Storie Italiane, il Mulino, 2022
In più occasioni ci siamo chiesti quali motivazioni di fondo hanno animato Saverio Tutino, «inviato speciale», «giornalista militante», a compiere una simile scelta. Dopo tanti viaggi e soggiorni nelle più importanti capitali del mondo, a trovare riparo e conforto a Pieve Santo Stefano e a farne un polo di raccolta e custodia delle scritture della «gente comune», e in queste pagine proviamo a dare qualche risposta alle nostre domande. Senza pretesa di completezza, proponiamo alcune tessere della biografia di Saverio Tutino solo nell’intento di offrire una panoramica sulle caratteristiche e sulla vocazione dell’Archivio dei diari. Nello stesso tempo abbiamo proposto alcuni esempi di temi e momenti della storia italiana ricostruiti sulla base di una piccola ma preziosa parte di questa documentazione custodita dall’Archivio dei diari. La nostra attenzione, inoltre, non poteva non soffermarsi sugli «abitanti» che popolano le scaffalature dell’Archivio, vale a dire sulle diariste e sui diaristi. Condividendo l’obiettivo di non trascurare questa dimensione biografica, abbiamo scelto di incrociare due piani di analisi. Una lettura orizzontale incentrata su rilevanti snodi storici e tematici attraversa trasversalmente i diari e le memorie; un’esplorazione in verticale del ricco patrimonio archivistico, invece, privilegia le singole scritture e propone i «ritratti» di nove diariste e diaristi, veri e propri «simboli» sia per la ricchezza della narrazione sia per la materialità della scrittura dell’Archivio di Pieve Santo Stefano. [dalla premessa di Camillo Brezzi e Patrizia Gabrielli]
novità 2022 Diari incrociati Quando le memorie si mettono in gioco realizzato dal Piccolo museo del diario in collaborazione con dotdotdot
Diari incrociati ha l’obiettivo di accompagnare i giocatori alla stesura di un proprio percorso narrativo: è un kit per attività di scrittura creativa, composto da 4 mazzi di carte per 4 differenti tematiche, estratti di diari e indicazioni per diverse tipologie di giochi ed attività educative. Le 4 tematiche sono: “Raccontarsi nell’Italia repubblicana”, “Migrazione”, “Grande Guerra”, “Seconda Guerra Mondiale”.
cosa trovi nella scatola:
– 4 mazzi di carte per un totale di 144 carte suddivise nelle quattro tematiche – un libretto con gli estratti dai 24 diari scelti, da leggere durante le attività – un libretto con 24 schede, una per ogni diarista scelto – le istruzioni di gioco con 5 attività didattiche
Puoi giocare in autonomia o abbinare il tuo kit a un laboratorio didattico con le guide del Piccolo museo del diario.
le novità editoriali del 2022
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Il programma della 38^ edizione:
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