Brani scelti
Martedì 19 dicembre 1933 XII
Oggi, con somma lagna andammo a scuola; anzi, suonavano le otto e io stavo a letto; mi affrettai alla fermata del tram e, dopo lungo pezzo, giunse il 9 zeppo, imprendibile, dipoi un 8, idem per cui forzatamente ci infilammo nel rimorchio salendo davanti e stetti sul predellino con appresso un giovanotto che, con la scusa di tenermi su, mi abbracciava scandalosamente; così giungemmo e salimmo a scuola. Mentre noi caciaravamo, arrivò il preside che caciarò lui altamente e ci fece la ramanzina. (Ca).
15 marzo 1935
Martedì trascorso sciapo. Credevo di avere l'interrogazione di francese e invece Giani delusemi. A Geografia Cascia fu interrogata e rispose bene, ma fece cadere tutti i registri di Rampelli. Il pomeriggio fu tutto dedicato al Diritto nel quale fui interrogata mercoledi et risposi bene prendendo sette, come mi informò poi Pilloni junior. Nelle matematiche Cristola fu appellata ma siccome sonaron le campane, Basso rimandò l'interrogazione. Facemmo anche saggio di Francese che però non andò troppo bene. Et adesso veniamo a giovedì, ossia all'inizio delle grandi calamità. Mentre ce ne stavamo a Italiano ripassando bene ragioneria per il saggio, entrò Ventorini che volle Donisa et Cristola dal Preside. Li stupori furon enormi, in quanto le coscienze nostre eran limpide quant'altri mai, perciò sforzammoci invano di indovinare la ragione di tale appello. Senonchè quando tornaron, disserci aver la Monaghi fatto nascostamente rapporto dicendo. “molte alunne della 2 A sup. fanno chiasso nello spogliatoio, specie Cristola et Donisa”. Et le meraviglie furon grandi in quanto dopo le scene con Cane Bull Cane, noi negli spogliatoi non sostammo più et inoltre la Monaghi non venne mai nelle guardarobe e poi ancora mercoledì mattina entrammo rattissimamente nelle classi poiché eravi Bassoni et Cristola tardi arrivòe sola e lesta spogliossi. Allora dopo pranzo interpellammo Cane Bull la quale disseci che dopo li rapporti, noi le molestie più non davamo lei non aveva più niente rapportato a Rundo. Ahi, lercia Monaghi! Zitellona quan'altri mai acida! Finta e schifosa! Cosicchè stamani Donisa e Cristola l'affrontarono ed essa disse che nello spogliatoio non c'era mai stata, che non aveva visto niente, solo siccome sapeva che vi si parlava, rideva e cantava doveva fare un rapporto e doveva metterci dei nomi. Ahi la putrida! E' così che agisci zozza falsaria! Allora durante la lezione di Chimica, Donisa et Cristola tornano dal Preside, le spiegazioni dieder e tutto il parea finito per il meglio. Ma la giornata era ormai guastata in quanto il Sorri fu quant'altri mai maligno e bizzoso. Entrò in classe con venti minuti di ritardo e diè di piglio alle interrogazioni. Dapprima Capossi e Melloni fiascaron lievemente poi chiamò Donisa e Mellonio al principio Donisa andava benone poi l'alchimista chiese a Mellonio l'anidride carbonica che ella non sapeva onde rivolsesi a Donisa che benone cominciava, ma tuttarbotto Mellonio rappellossele e a chiaccherar incominciò facendo ammutolir d'Artagnan. Ahi la villanzona, così agiva! E Sorri non si ribellava. E noi fremevamo di sdegno. Poi Donisa impaperossi con le formule e allora malignon malignoni il professore chiesele nientemeno che il bromo che non aveva mai domandato a nessuno. Seguirono altri che fiascarono lo stesso. Tristissime fummo per li d'Artagnan che disperatissime eran perché alle Alchimie applicate s'eran, ma il Preside alle uscite consololla et li rimedi certo più che brillanti farà. Ben, quasi tutto ciò non bastasse, alli ritorni li Cani Bull Cani m'informarono che li Prersidi di noi chieserle conto et che lei ben rispuose et che la Monaghi et la Lifoci sorvegliar deggion li spogliatoi. Ma ecchete le compagne dilette che annunzian che la Cristola ha ricevuto la lettera del Preside e la motter nelle ire adò et promise tosto una venuta dalli Presidi onde cambiar posto alla Cristola et non farla più con noi venire. Li strazi furon grandi et alle sortite mandammo la Monari quale vendetta, ma dalle scale la Cristola scorse la furentissima genitrice, onde rattissima volò e con lei andossene. Ma io e la Donisa che a retro venivamo, vedemmo la Cristola solatia alla stazione onde accelerammo i passi mentre Crstola rallentava i suoi. Così raggiungemmola et essa disseci aver la motter parlato con li Presidi et drammatizzato assai la situazione, ma per fortuna delli posti nulla disse.
Giovedì, Roma 31 ottobre 1935 XIV
Variazioni sulla vita
La mano è stanca la penna trema, scricchia la panca, la vita è scema.
Il can si gratta, la notte sale, la testa è matta, vita banale!
Ma spunta il sole: via lo studio! nascon le viole, vita è tripudio!
Chi non ridacchia, canta e saltella? Oh, che gran pacchia: la vita è bella!
(…E tanti saluti dal Carabiniere)
Martedì, Roma 5 novembre 1935 XIV
Stavo per dimenticandomi di far li millanta diari. Or vo a narrarvi le nostre gestazioni gloriose. Furonci ben 4 giorni di vacanza durante i quali Bo e Cri telefonaronmi e ci dettimo gli appuntamenti al Camposanto ma naturalmente Cri fece in modo di venire un momento dopo che me n'ero andata e alli pomeriggi vidi Bo per pochi minuti. Cri cercò invano di telefonare poiché con la solita rara abilità telefonava proprio quando non c'ero. Lunedì sera riuscì ad acchiapparmi a volo e ci demmo appuntame per le 8 ½ in chiesa e tanto io che le altre suine ci trovammo puntualissime alle 9 a scuola dappoichè tanto per cambiare pioveva a dirotto. Snaticando invademmo le aule in attesa di quella immonda caroña della professa d'Inglese che entrò dicendo il solito: “In piedi, silenzio!” Dopo esserci riavute dalla sorpresa cominciammo a ridere per questo e per quello poi io e la Cri ebbimo un cruento duello in sordina sotto il banco per raccogliere un quaderno. La Cri continuò a rufolarsi forse perché aveva il raffreddore e si sentiva la febbre sicchè, ischifandoci e per le mille prudenzie, ne stemmo discoste fendo miriadi di attucci delle superstizioni per iscacciare le scarogne e li spiriti maligni annidatisi tra le setole di Cri. Indi con senso altissimo di altruismo le appiccicammo alle groppe giganteschi cartelli con teschi e ossa incrociate. “Schivate la rummata! Occhio alla febbre!” onde preservare il prossimo dalli infidi contagi. Poi munite di pinze ci disponemmo ad agganciarla ad una gru per farla trasportare ai lazzaretti, ma ella giurò e spergiurò che ci sarebbe ita con le sue chiatte e noi sputandole addosso la lasciammo nell'isolamento. Nel frattempo secondo i resoconti degli invitati delle ultime linee, la Monaghi incominciava a lanciare sguardi incendiari talchè dovemmo piantarla. Di poi fra le fife venne Basso con le complicatissime calcolatrici di cui spiegò il funzionamento mentre noi ininterrottamente c'inchinavamo e la classe risuonava di grazia ed inni al cielo per li miracoli incomprensibili e Basso come Dio troneggiava manovrando rattissimamente mentre noi gli baciavamo i piè ricadendo subito al suolo. Malgrado le nostre altissime fife fece sempre lui gli esercizi dichiarando che la prossima volta ci avrebbe chiamate. Du! Dopo aspettavamo Arro ma giunse quell'alato messaggero di Bull che ci esilarò annuciandoci che potevamo uscire. Noi con rauche grida ci gettammo nel corridoio e con rapidi balzi ci vestimmo e corremmo alle segreterie per prendere informazioni sulle borse di studio indette, ma ci femmo una magra perché non era per noi. Ratton rattoni scendemmo a respirar la fresca auretta che stuzzicocci gli appetiti per cui decidemmo di ir a masticar qualcosa e girando per le eterne calli ci decidemmo per alcuni pani incartati che per la nostra fame non erano poi malvagi. Indi ci appostammo dal lattaio volendo telefonare a Do e colui vedendoci esitanti davanti alla vetrina disse: “O non ci hanno i soldi o non ci hanno coraggio”. Al che la Cri audacemente gli chiese di telefonare e marzialmente entrammo. Dopo aver invano cercato l'elenco chiedemmo il numero alla signorina 02 e avutolo la Cri dimandò di Do. Incominciò Bo con risate soffocate e con gorgoglii rimati di cui forse solo Do avrà ben capito la natura. Alla fine lasciammo Bo attaccata al microfono e io e Cri uscimmo gorgogliando come due pentole di fagioli (hum!) senza poter nemmeno pronunciare un decente grazie, e gimmo poi alla piazza Indipendenza e ivi seduteci in penombra gettammo le basi del nostro statuto che sarà finito a società sciolta. Essendo tarda ora andammo a Piazza della Rossa Croce ove le due pasciute scrofe presero le circolari e io fetton fettoni mi avviai chez. Avevamo anche deciso di finire il nostro dire: Bo dicendo: “suvvia care bimbette. Cri: Via via cuor mio”, e io: “saluti dal carabiniere!”
Giovedì, Roma 7 Novembre 1935 XIV
Du, du, du. Stamattina mentre garrule e serene entravamo in classe preparatissime per fare un fiasco nelle millanta Merceologie vediamo invece della faccia irsuta e gialla di Sorri, una rubiconda popolana che io scambiai subito per la sostituta di Bull, invece era, oh! atroce vista, l'insegnante di lettere, che è venuta a posto di Arro. Dopo l'urlo selvaggio che siamo abituati a fare quando manca qualche insegnante che scoccia, rimanemmo fermi e zitti, nell'attesa di ascoltare la voce che, poteva uscire da quella balena. Oh! voce sgradevole alle nostre bionde orecchie, cariche di cerume, come risuonasti male! Le prime parole cui tu hai dato voce erano: “Io voglio innanzi tutto la disciplina” e dopo due istanti: “tengo moltissimo allo studio”. Quella scrofona quindi incominciò a tartassare la nostra piccola Cascia, che pallida e spaurita emetteva suoni inarticolati. Dopo aver fatto prendere vari accidenti alla classe, per fortuna a momenti se ne prendeva uno lei (di accidente). Finita l'ora a scuola costuma suonar la sirena per annunciare che un'ora di tortura è finita e per alunni e per professori; quindi giunte le 9 ½ la sirenaccia imperterrita lancia il suo urlo acutissimo, alchè quella zozzona sobbalza, impallidisce, scatarra e con gli occhi a bottacciolo chiede: “Che è?” Al che noi con giubilo: “E' la fine dell'ora, signorina”. Grande meraviglia da parte sua, grande meraviglia da parte nostra, per la sua meraviglia, quindi grande meraviglia da parte sua che noi ci meravigliassimo da parte nostra per la meraviglia da parte sua, ecc. ecc. Poi quella, invece di andarsene al suo tukul, rimase lì ferma, piantata chissà con che doppi scopi giusto il tempo per darmi una strillatina perché avevo atteggiate le mie rosee labbra ad un triste sorriso. Dopo che se ne gì, venne quell'altro strazio di Rampelli e ci sfrogoliò per un'ora interrotta solo da un esodo in massa della classe per andare a ritirare il racchissimo annuario 1934-35. Egli ci intrattenne sui primordi del diritto commerciale, alchè noi ci addormentammo in profondità. Nell'ora di poi venne Basso e prima di cominciare la sua lezione dabbene, spillòcci soldi dieci per comperare la carta commerciale per i vieppiù e vieppiù più saggi trimestrali. Quindi rifece i piccoli calcoletti con la calcolatrice e se n'andò e senza aver fatto fare fiasco veruno e dopo averci sobillato e aizzato contro lo studio delle lingue straniere. Caro piccolo, amato Basso. E venne infine il barbuto La la, la la, la la (non riesco a finire il nome, pazienza), e interrogò il mio sogno d'amore: Lavortini! O Lavor, o Lavor di questo cuore, tu non comprendi cosa sia l'amore (da cantarsi sull'aria della “Traviata”). Il piccino fece un ½ fiasco e divenuto un pizzico nella capace giacca se ne ritornò al suo posto. Chiamò quindi Taviani che con la sua voce afona (che bella parola!) risposette nungè male. All'uscita ci attendea una bella sorpresa: la Donisa nostra era venuta a prenderci e s'intrattenne con noi vieppiù e vieppiù. Fui io poi la privilegiata che l'accompagnai fino a Esquilino square con risate. A proposito: ho preparato i fogliettini per l'estrazione a sorte dello sposo cui, oh si, ogni donzella aspira, oh, gioia sovrumana, oh momento inestimabile (Lavortini, si solo lui, tutto lui, nient'altro che lui, tutt'altro che lui!). Ho finito ma mi sono accorta che è venuto fuori un diario racchissimo. Si può quindi cantare alla fine della sua lettura sull'aria della “Cucaracha”:
Che diario racchio che diario racchio trallarallarallarà che diario racchio che diario racchio trallarallarallallerà
Via, via cuor mio!
Lunedì, Roma 18 novembre 1935 XIV (Primo giorno dell'assedio economico)
Trallallallallalalando entrammo a scuola, dopo salutazioni commosse con Do, tra gli sguardi di tutta una folla di camicie nere. In cima alla scala c'era Rundo (il preside) col redivivo (disgraziatamente) Bassoni che incitocci come cavalle ad andare nello spogliatoio. Ivi andammo e ci abbigliammo poi Monari fece distribuzione di pezzi di nastro tricolore onde adornarcene il seno. Tutte ce lo mettemmo il nastro, solo Melloni era reticente perché diceva che non si voleva far menare ma io gli dissi: mi sembra che ti puoi anche far menare per questo. E lei fregiossi del tricolore e baldanzose gimmo in classe dove, ironia della sorte, ci attendeva la Monaghi. Vocci impavida scrisse alla lavagna in lettere cubitali abbasso l'inglese. Ma la coraggiosissima Miss finse di non averlo visto e s'accinse a dettarci in inglese il proclama del Gran Consiglio di oggi. Solo a questo patto la lezione passò liscia interrotta solo dalle circolari di Rundo, il preside, che umilmente ci implorava di star quieti. Venne dipoi Mori o il pallido sol di Levante che dir si voglia e ci dettò l'inventario dopo aver intrecciato le laudi della quadrotta commerciale. Io fui chiamata dal pallido fiore di loto a far somme alla lavagna per cui m'infarinai ben bene col gesso e tornai a posto augurandomi di veder prima della fine dell'ora il giallo fiore d'ibisco, piantarla. Infine la sirenaccia si portò via sulle sue sibillanti ali la purpurea orchidea selvaggia. Venne poi la sig. di Religione e dopo vani tentativi di uscire di soppiatto ci rassegnammo a tornare a posto. Durante tutta l'ora lessi, con intervalli sussultori per la fifa che me lo prendesse, il diario, poi verso la fine lo passai a Cri che fece in maniera, con premeditazione lercia, che dietro i ragazzi leggessero insieme a lei soffermandosi per tondeggiare. Finalmente uscimmo e per prima cosa vidi la motter e più in là Borelli da lungo tempo desiderata, vicino la sister e l'amata sua compagna, più in là ancora riconobbi il cappotto di Goti ma mi affrettai a volgerle le spalle. E corsi incontro a Novo e li sbaciucchiamenti e li abbracci furono innumerevoli. Intanto Bo, Cri e Mo mi avevano perduta e spalleggiavano e sculettavano fra i giovenchi. Finalmente mi avvistarono e fendendo la folla mi raggiunsero seminando la morte per coloro che inavvertitamente mettevano i loro piedi in contatto con quelli delle fetide caroñe. Dopo affrettati discorsi Cri e Novo si avviarono insieme mentre io, Bo e Mo, ahimè, andammo dietro la motter e sister. Ridemmo da sganasciarci e rimanemmo indietro tanto che quando Bo volle salutar la genitrice non potendo inviare uno strap per gli avvisi, dovette farsi una corsa e salutate che ebbeci, andò. E così noi pure in compagnia della indistaccabile Monari. Oggi mi sono dimenticata di fare il diario! Tanti saluti dal carabiniere.
Roma, Lunedì 23 dicembre 1935 – XIV (36° giorno dell'assedio economico)
Da oggi proprio hanno avuto inizio le vacanze natalizie e ciò coi sommi gaudii da parte nostrana. Stamane, adunque, li orioli delle torri civiche battevano le otto e un quarto, allorchè ratta io nell'uno saltava. Nonostante l'ora avanzata a tempo nelle palestre arrivai e assieme alla Ca che con la Melloni s'accompagnava, nel mentre io con la Mozzi il cammino divoravo. La Cri avvistateci, fe' mostra di non averci visto e ciò per le somme spiritosaggini. Diggià il basco m'ero levata e tra le mani le fumanti ginnastiche pianelle agitavo, allorchè a guisa di bomba, entrò Nedda, dicendo: “Rigazze, nun c'è ginnastica!” Per la paura che ci ripensassero, non ci facemmo ripetere l'intimazione e ratte ce la squagliammo. La Cri ci disse subito che aveva fatto un diario pregevole e ce ne raccomandò vivamente una pronta lettura, onde per secondare i suoi ardenti desideri, andammo su una panca in P. Indipendenza e poggiate ivi le chiappe nostre, ne femmo lettura (del diario). La Cri, come alle pudiche donzelle attiensi e pertiensi, su di un'altra panca sedea, e ogni tanto, con la scusa di fare la pantomima con noi, inviava sconci segnali e osceni messaggi ai soldati che per i giardini transitavano. Finito il diario discutemmo un tantino e così giunse l'ora d'entrare a scola. Nel corridoio due camarade ci assaltarono dicendo che quella di ginnastica ci aveva fatto rapporto giacchè ce ne eravamo andate, visto che lei si trovava nell'altra palestra. Saputo che il rapporto si riferiva genericamente alla III e alla IV A senza nomi, scrollammo le spalle e proseguimmo fischiettando la nostra strada finchè nello spogliatoio Fredi e seguaci non ci annunziarono di avere devoluto dalla bidella £ 9.50 cada una e fino alla concorrenza di £ 15. Per la cui cosa ci trovammo nella necessità di contribuire, ma in difetto di fondi, decidemmo di rimandare tale operazione a dopo le feste. Entrammo in classe scalpitando e sculettando e cicalando aspettammo l'arrivo di Basso. Il piccolo amore chiamò subito Ca che azzeccò qualcosa ma il resto no. Le altre interpellate e interpellati fiascarono giocondamente. Sonata la sirena ed erogatosi Basso, che a fatica si riparava dal fuoco di fila dei nostri auguri, Cri cacciò fuori con mille misteri il suo disegnone da accludere al quaderno I. E' un buon capolavoro d'efficace umorismo. Sospirando e lanciando tristi occhiate entrò la Roggiani la quale dopo aver datato e controfirmato accalappiò subito Lavor. Nel frattempo la dolce signora rampognò Capossi il quale disse che mangiava e lei disse che non c'era proprio bisogno di mangiare e cogliendo l'occasione non tralasciò d'informarci che aveva voglia di darci zero a tutti e lasciare la classe e che se non volevamo studiare a lei non gliene importava, ma dovevamo essere educati che l'educazione è la I° cosa, ecc. ecc. Dopo venti minuti, cacciò un sospiro e disse che era proprio un peccato perdere tempo in chiacchiere e che dopo un trimestre di scuola avevamo fatto solo ½ canto di Dante. Già ci credevamo che tutto fosse finito allorchè, per una sua allusione al programma di storia, si verificò un borbottio in classe. Onde la cara piagnona cogliendo il destro, seduta stante, disse a Capossi (disgraziata, infeliciona) cosa mai avesse da borbottare e che a lei le piace solo la gente che dice la verità sulla faccia. Si volle informare se Capossi lo credeva giusto che noi fossimo così maleducati e Capossi rispose che era giustissimo. Lei disse che la scola non era casa nostra e che a casa nostra se viene una persona, noi non parliamo quando quella parla e allora perché parliamo a scuola. Capossi disse che era perfettamente giusto e la professoressa rifece una constatazione sulla perdita di tempo e accalappiò Fredi che rispose bene. Sonata la sirena ci erogammo sibilando auguri in tutte le direzioni e dopo aver sceso le scale al canto di un sol… ecc. volammo in grembo alla Do che fremente ci attendea. Tosto la nostra marcia meravigliosa le insegnammo ma i nostri allegri frizzi, avevano richiamato l'attenzione di una folla di scemi che ratta s'ingrossò e dietro a noi fluì. Sicchè cercammo ricovero tra le mura della palestra, ma indarno, onde ritornammo alle scuole, e a mezzodì capitò tra di noi la Novo e la sister di Donisa. Ci comprammo i turchetti, ma al momento di pagare s'accorse la Cri d'aver obliato in classe il borsone carco di segrete fotografie. M'offersi d'accompagnarla e infatti in classe rinvenimmo la borsa. Senonchè pensammo io e la Cri di contar buatte alle schife onde discese dabbasso, con accorato gestire e spezzate parole demmo a comprendere che nulla aveamo trovato. Ma le zozze avevano subodorato qualcosa, quindi con furbi sorrisi ci diedero la baia. Nel frattempo scorgemmo Bull che sortìa, onde slanciateci a lei addosso, le dimandammo se nulla veduto avea e Bull disse che in 3° A, manco ci era stata. Sconsolate io e Cri ci avviammo avante e rapidissimamente trafficando riuscimmo a far passare la borsa dalla cartella di Cri, nel mio capace grembo. Voltateci e non viste le scrofe, tornammo sui nostri passi e trovatele, Cri volle aprire la cartella e ciò per li pubblici sopralluoghi, ma le fetide accortesi della prominenza delle ventri miei, su di essi slanciaronsi con grida, quali: “ Veh, chi è stato?” “Dicci, or dicci, di chi la colpa fu” “Oh, invereconda, nomina l'artefice della tua gogna” E siccome io mutola stava, con sogghigni esse aggiungevan: “Toh, che non sa chi fù”. “Veh, li numeri infiniti che alle confusioni adito danno”. “Oh, il miserello pargolo che li padri ha incogniti e molteplici!” Ma cacciata la borsetta, si rasserenarono le fronti e le compagne piangendo a dirotto mi chiesero scusa delle loro subdole insinuazioni di pocanzi. A P. Indipendenza, lasciai le luride e tornai a casa in C.S.
Roma, Martedì 3 marzo 1936 XIV 107° giorno dell'assedio economico
Fedele alla dottrina del prof. Santillo, sempre seguendo i principi del prof. Ramagni, giunsi stamane a scuola con nel cuore una grande speranza che ci fosse vacanzia per via della n/ schiacciante vittoria sugli Abissini. Scendo dal tram, inneggiando a Pietro d'Alvise, emerito profeta della Ragioneria, ed ecco che il canto mi muore sulle labbra per lo sgomento inquanto m'aspettavo pletora di dimostrazioni e invece ti vedo un par di piccoli giovenchi che fiatano penosamente, mentre i più nerboruti s'avvian diligentemente a scuola, sotto lo scudiscio sferzante di Rundo. Miseri giovenchi che abbiamo! Miseri nel senso lato e miseri in senso stretto; miseri propriamente detti e miseri in rapporto all'ambiente che li circonda! Entrai a scuola mesta e mi affiancai a Ca e Cri nello spogliatoio, discutendo secoloro sulle incertezze in rapporto alla congiunzione delle vacanze nel tempo. Adunque, entrammo in classe dove Moduzzi interrogò Ca e Cri che tuonarono a più non posso. Intanto nei giovenchi s'era ridestato l'antico buon sangue guerriero ed essi si diedero a brontolare e reclamare le vacanzie. Ahimè! Troppo tardi! Moduzzi cercò invano di placarli dicendo che lui non ci poteva far niente e che se era vacanza era meglio per tutti. Attraverso i vetri scorsi l'aitante persona del bel bidello, e nel cor mi rinacque la speranza. Epperò costui, entrato, ci disse: “Perdete ogni speranza, o voi che entrate” mostrando così d'unire a un bel fisico, una bella anima, colta e danteggiante. Erogatosi Moduzzetto nostro, i baldi giovani si precipitarono fuori a investigare, mentre zio Foni e Barra continuavano a cantare, con un quaderno conficcato nell'orificio del banco, tra il nostro più grande diletto. La Monaghi comparve in assetto guerriero, sia in rapporto al tempo in cui vive, sia in rapporto all'eternità e cominciò subito a tradurre un brano. Intanto da fuori ci giungeva eco del furor della folla che voleva impadronirsi di Rundo per compiere sul suo corpo le più orrende sevizie, orrende rispetto ai nostri gusti quanto a quelli del consorzio civile. E i nostri baldi puledri non si potevano rattenere. Di nuovo il cor mio balzò fino al soffitto alla vista del bidello, detto negus per antonomasia, e di nuovo cadde pesantemente a terra quando il negus disse che si sarebbe usciti alle 8. Ormai ci avvicinavamo inesorabilmente a Ragioneria: l'incanto stava per andare in frantumi: Sonò la sirena e comparve la gentil Margi e le prime parole che proferì furono: “Questo corso è un disastro”. Subito l'animo mio fu lanciato in un baratro d'incertezza, inquantochè non sapeva io se era un disastro nel senso intrinseco della parola, prescindendo da ogni circostanza di tempo e di spazio, o se era un disastro considerato in realzione al mondo esterno e alle manifestazioni di vita. Chissà quanto mi sarei ancora dibattuta in questo patema d'animo, in questa crisi o stasi di spirito, se Mori non m'avesse ricondotto alla prosperità morale, dettando il saggio. Il saggio s'aggirava intorno ai costi e ricavi contabili, le loro incertezze e finiva con la preghiera di fare alcune esemplificazioni in Partita Doppia sull'acquisto di merci nei Magazzini Generali. Dopo averci raccomandato d'essere onesti e leali, il caro vecchio s'asciugò gli occhi pieni di lacrime che gli erano spuntate al pensiero d'aver avuto solo 3 ore di Ragioneria in questo mese, e ci disse se eravamo così buoni di fargli la carità di chiudere il materiale “copiativo” nella cartella. Onde io diedi l'incartamento alla Cri che lo serrò nella sua borsa. Il lavoro procedeva veloce e le copiature prosperavano rigogliose, allorchè Mori s'alzò. S'udì un rumore di carte smosse e si vide una gran mescita sotto i banchi. Per la cui cosa Mori volò tra i banchi sequestrando vari fogli e singhiozzando disperatamente, sulla nostra bassezza e viltà che ci spingeva a ingannare così turpemente un povero vecchio inerme che è stato sempre così leale verso di noi, specie quando faceva le belle prediche sul 7 in condotta e se ne chiedeva le ragioni, mentre poi in consiglio si faceva in mille pezzi per schiaffare il suddetto sette a me. Come un avvoltoio, piombò tosto su di me e mi cacciò la testa in grembo per frugare nel banco. Ma ci fece una magra perché tirò fuori i fogli bianchi. Dicendo: “Volete che faccia il carabiniere, sa! E lo farò, sa!” si sedette all'ultimo banco dove rimase fino alla fine. Io escii e cercai d'informarmi sugli ultimi articoli di partita doppia ma raccolsi poche nozioni, onde feci un macello e così credo molti altri. Uscii alla mezza con la coccia che mi si spaccava (nel significato figurato della parola) dal dolore. Salutate Ca e Cri, presi la circolare che mi ricondusse alla dimora. Con la quale termino.
Vittoria Boni, Leda Casalini, Lydia Cristina, Wanda Doniselli "Noi quattro a scuola e altrove" diario 1933-1970
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