Eugenia Biondi Stampa E-mail
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L'amore di Eugenia
prefazione di Alba Orti
Roma, Editrice LiberEtà, 2001
pp. 120 con ill.
 

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"Io sono nata il 18 luglio 1920 abbiamo subìto la miseria, la dittatura, l'analfabetismo, la guerra", poi c'è stata la "trasformazione di tutto", ma la strada percorsa è stata lastricata di dolore, di coraggio, di paura, perché "questa è la vita". Tutto questo si legge in Come eravamo, prezioso testo di memorie di Eugenia Biondi, scritto scritto come è pensato, in presa diretta, come succede nei ricordi quando tutto avviene al presente.
Campagne romagnole: Eugenia, abituata a "fare i lavori più pesanti dell'agricoltura", è presto mandata a servizio come bambinaia o domestica in città (a Faenza e a Firenze), dove conosce nuova povertà - "un sottoscala senza finestra, un letto, un baule e tante pulci" - nuova umanità - la famiglia del "grande capo fascista" che la giovane Eugenia arriva a rimproverare perchè fa le corna alla moglie - un altro mondo, dove "c'erano la radio il telefono il bagno" ma anche i pregiudizi di classe: la figlia dei padroni non vuole essere accompagnata al cinema da una "stracciona", allora la "stracciona" cambia padroni, riesce a comprare vestiti e a essere corteggiata. Ma non cambia idea e resterà fedele al grande e unico amore della sua vita, Giovanni: "nasce l'uomo e nasce il destino, io amavo Giovanni perché era povero come me".
Arriva la guerra: Eugenia è costretta a tornare a casa e a riprendere il lavoro di contadina, e siccome ha messo qualche soldo da parte sposa Giovanni. La loro è una povera casa colonica, dove "non c'erano vetri alle finestre", quando poi il padrone faceva i conti, imbrogliava i contadini. "Noi quando in ginocchio, con i pantaloni pieni di toppe e il cappello in mano, signor padrone, con il tetto pieno di buche e nell'aia la ciucca spelacchiata. Te stai zitto, perché sei ignorante, se reclamavi i tuoi diritti". Eugenia invece osa protestare, controlla i conti e riesca a far valere i diritti di tutti. Ma la guerra porta anche il terribile lutto della morte di una figlia: "Una notte è morta. Io ero sola me la sono stretta al petto, ho pianto urlato a chi mi sentiva. I cannoni sparavano".
Poi le cose cambiano e dopo la guerra "il padrone non faceva più paura". Giovanni farà l'operaio e così sarà anche per i figli e il lavoro consentirà a tutti una vita dignitosa. "La casa l'abbiamo comprata e non mi manca niente. I figli mi vogliono bene, mi fanno dei regali, mi vengono a trovare, mi telefonano. Ma i figli non sono nostri, sono della società".

 
 
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